Fuga di cervelli. Perché rientrare? Calano i lavoratori giovani Uno dei problemi principali è la diminuzione delle nascite. Questo si riflette sul sistema scolastico con il calo degli studenti

I giovani lavoratori in Italia e a Verona di conseguenza continuano a calare. La ricerca Futuro Qui! proposta da Fondazione Cariverona e Upskill 4.0 insieme con Will media di cui abbiamo scritto nei giorni scorsi conferma tutta la sua drammatica attualità: dove si deve intervenire per mettere freno alla fuga del capitale umano del futuro. la ricerca ha avuto il merito di mettere a fuoco sette leve strategiche sulle quali intervenire ma la situazione è già preoccupante oggi. Sempre secondo una ricerca pubblicata da Will media e relativa alla fascia giovanile, negli ultimi vent’anni, l’Italia ha perso oltre due milioni di giovani occupati, mentre il numero di lavoratori over 50 è raddoppiato. Questa trasformazione del mercato del lavoro ha profonde implicazioni economiche e sociali, soprattutto per la capacità delle imprese di trovare le competenze innovative di cui hanno bisogno.

Calano i lavoratori giovani. Mentre d’altro lato, c’è sempre la Uno dei problemi principali è la diminuzione delle nascite. Questo si riflette sul sistema scolastico con il calo degli studenti

Mentre d’altro lato, c’è sempre la risorsa dell’esperienza che andrebbe sfruttata meglio.
Nel 2004, gli occupati tra i 15 e i 34 anni erano oltre 7,6 milioni, rileva Will media.
Oggi sono scesi a poco più di 5,4 milioni. Allo stesso tempo, anche la fascia 35-49 anni ha visto una riduzione di un milione di lavoratori. Al contrario, gli occupati tra i 50 e i 64 anni sono passati da 4,5 milioni nel 2004 a oltre 9 milioni nel 2024. Il mercato del lavoro italiano sta quindi invecchiando rapidamente, mentre le generazioni più giovani faticano a trovare un’occupazione stabile.
A livello europeo, il nostro Paese è quello in cui l’invecchiamento della forza lavoro ha avuto l’impatto più forte. In Germania, la differenza tra occupati giovani e maturi è meno marcata, mentre in Francia i lavoratori tra i 25 e i 34 anni superano quelli tra i 55 e i 64 anni. Questo squilibrio rischia di rendere l’Italia meno competitiva rispetto agli altri grandi Paesi europei.
Uno dei problemi principali è la continua diminuzione delle nascite: dai 562 mila nuovi nati del 2004 siamo scesi ai 380 mila del 2023. Questo si riflette nel sistema scolastico, con un calo di studenti che porta alla chiusura di scuole e a una riduzione del personale docente. Inoltre, le aziende lamentano una crescente difficoltà nel trovare lavoratori con le competenze necessarie: in metà delle assunzioni programmate, i candidati semplicemente non si trovano.
Un altro fattore che aggrava la situazione è l’emigrazione giovanile, appunto quella fuga di cervelli che in qualche modo va arginata investendo di più sui nostri territori per renderli maggiormente attrattivi, favorire la ricerca della casa, facilitare l’accesso al credito, garantire retribuzioni che consentano una qualità della vita decente, assicurare mobilità e trasporti efficienti.
Dal 2011 al 2023, circa 550mila giovani tra i 18 e i 34 anni hanno lasciato il Paese, (50 mila l’anno in media) con un saldo netto negativo di 377mila persone, perlopiù laureati.
Il valore del capitale umano perso è stimato in oltre 130 miliardi di euro. L’Italia è tra i Paesi meno attrattivi d’Europa: per ogni giovane che arriva, otto italiani partono. Giovani sui quali il nostro sistema scolastico e universitario ha investito fior di risorse, ma i risultati andranno a beneficio dei Paesi stranieri. E le campagne istituzionali per far rientrare i cervelli fuggiti lasciano il tempo che trovano.
In 20 anni i giovani lavoratori si sono ridotti di un terzo. Il fenomeno presenta sfaccettature diverse: il mondo del lavoro cosa offre? Stage sottopagati, spesso poco formativi, mentre gli annunci di lavoro chiedono candidati giovani, laureati, ma già con anni di esperienza. Dall’altro lato le aziende fanno fatica a trovare personale: i giovani chiedono di non lavorare nei fine settimana, non accettano orari di lavoro che possano creare disagio, c’è poca propensione agli spostamenti, i sacrifici per il lavoro non sono più ritenuti importanti come potevano esserlo per le generazioni precedenti. C’è una maggior consapevolezza e attenzione alla qualità della vita. E non è raro che i giovani si presentino ai colloqui di lavoro con mamma o papà: ma mio figlio deve fare questo? chiedono ansiosi.
Un quadro desolante: stipendi bassissimi, poche occasioni di crescita professionale, ambiente lavorativo tossico, non ci sono investimenti sulla innovazione: così la fuga di cervelli non è un caso, ma una scelta obbligata. Volete andare a lavorare a Milano? Con 1800 euro di stipendio (cifra ottimistica), non ce la fate tra affitto e costo della vita. E se qualche cervello in fuga volesse rientrare dall’estero? le offerte di lavoro sono quasi tutte di basso livello, spesso e volentieri le offerte di lavoro altamente qualificate non si trovano neppure e di conseguenza non c’è alcun vantaggio retributivo nel tornare a casa. Inoltre, non è detto che la qualità della vita sia migliore nel nostro Paese rispetto ad altre realtà dove i trasporti funzionano, sono efficienti, ti consentono di non dover acquistare un’auto, c’è più sicurezza (non ti entrano i ladri in casa) e l’aria che respiri non è inquinata come quella avvelenata della Val Padana.
Ma devono essere i giovani a rimboccarsi le maniche o forse è il caso che comincino a farlo gli adulti per cambiare qualcosa?

mb