“Arte Venier”, collaudata rassegna creativa della nostra provincia, sta giungendo al termine nella sua edizione 2023, sempre all’interno della bella Villa Venier a Sommacampagna.
L’iniziativa, promossa dall’Assessorato alla Cultura, ha alternato proposte eterogenee d’arte visiva (fotografia, pittura e scultura) in esposizioni quali “Il mio inferno. Dante profeta di speranza”, “Una storia. Tante storie”, “Anche questo è amore”, “Riflessi di vanità”, “Germogli d’arte” (dedicata a cittadine e cittadini del territorio) e “Dinamismo cromatico e forme pop”, ancora visitabile fino al 15 di ottobre. Tra le tante esperienze realizzate, segnaliamo la mostra della veronese Cristina Annichini che, con “Frammenti di me”, colpisce per l’intensità e il fascino della metodica utilizzata. Attraverso il lavoro artigianale di modellazione della ceramica “raku”, con tagli netti che incidono la materia e l’uso sapiente del colore, l’artista ottiene contrasti che puntano “agli effetti opachi, brillanti e metallici che questa tecnica offre”. Ne escono esplosioni di colore e non colore in opere d’arte assolutamente uniche, espressione di una tradizione antica nata, quasi per errore, nel Sedicesimo secolo in Oriente quando un artigiano, provando a sperimentare un’argilla locale ricca di sabbia silicea, utilizza un forno a cottura rapida per velocizzare la produzione di ciotole destinate alle cerimonie del tè. Per accelerare ulteriormente il processo, l’artigiano decide di estrarre in fretta la ceramica dal forno, lavorarla ancora calda e ottenere forme finite ma piene di errori, crepe e ruvidezza. In questo modo inventa una pratica oggi conosciuta in tutto il mondo che, in totale sintonia con la cultura Zen, considera bello ciò che è semplice, sobrio e lontano dalla perfezione. Come detto, in origine la tecnica si legava all’uso del tè considerato in Oriente un vero e proprio rito in grado di generare, tra le persone, pace, armonia, cura e riconciliazione. Infatti, il termine “raku” richiama un’esperienza rilassante, piacevole, di scambio e gioia con l’utilizzo di oggetti irripetibili e imprevedibili, dalle qualità tattili e visive singolari che, in base alle diverse reazioni in cottura, possono diventare neri, grigi, colorati oppure sfumati, metallici e perlati.
La particolarità della lavorazione raku sta quindi nell’unicità del risultato, come se ogni forma fosse capace di evocare una ricerca di bellezza ma anche una storia di imperfezione nella quale, in fondo, rivederci con la nostra umanità fatta di talenti, pregi, difetti e debolezze. Il fulcro visivo di questa arte è il “wabi-sabi”, un ideale estetico presente negli oggetti consumati dal tempo e una percezione della vita focalizzata sull’accettazione della fragilità e dell’incompletezza insite in ogni cosa. Il linguaggio visuale, espressivo e tridimensionale del raku creato dalla Annichini ci insegna il distacco dall’idea di perfezione assoluta e richiama grazia sottile, semplicità, naturalezza e transitorietà. La sua arte apre le porte all’autenticità resa preziosa da solchi, venature e asimmetrie nella quale il difetto è considerato un valore da mostrare alla vista. Per scoprire, come dice l’artista “ogni giorno qualcosa di diverso e imprevedibile”. Una tendenza che sta prendendo piede anche nel mondo della narrazione visiva digitale, tra le giovani generazioni di influencer, che sui social network postano immagini al naturale, non ritoccate (e spesso perfino brutte) ma comunque vere oppure nella pubblicità con brand famosi che propongono un nuovo standard di bellezza focalizzato sull’imperfetto che si espande e proprio, per la sua specificità, attira lo sguardo e ci emoziona.