Formula 1? No, Formolo 1. Il campione di Marano Mentre il mondo dei motori s'interroga su un calo d'interesse, figlio di regole complicate, ecco l’impresa d’altri tempi

Teniamocelo stretto, il campioncino fatto in casa. Su e giù per le strade della Valpolicella, con l’aria sbarazzina di chi sa dove arrivare e quell’etichetta di predestinato incollata sulla schiena. “Forse mi ha pesato anche un po'” ha detto dopo l’impresa. La firma del campione sulla maglia tricolore, “una di quelle che sogni quando cominci a correre in bici” ha aggiunto Formolo. Campione d’Italia, un anno dopo Viviani, giusto per tenere a Verona la maglia tricolore. In volata Elia, per distacco Formolo, quasi 40 km da solo, prima di alzare le braccia e finire tra quelle della sua famiglia. Anche questa una foto che ci riporta un po’ indietro nel tempo, a uno sport fatto di sudore, sacrifici, passione. In una parola, di umanità. “Oggi – ha osservato ancora Formolo – si parla troppo di numeri, come se lo sport fosse solo quello. Invece, per fortuna, c’è dell’altro. C’è quello che senti dentro, quello che ti spinge a scendere in campo, a riprovarci. Sempre e comunque. E che ti fa spesso andare oltre i tuoi stessi limiti”. Alla ricerca di un’umanità perduta, proprio nella domenica in cui la Formula 1 perdeva l’ennesima occasione per riacquistare simpatia. In Austria, ancora una volta, una decisione sbagliata e qui, va detto, non c’entra per niente il fatto che a rimetterci sia stata la Ferrari. Leclerc penalizzato, vince Verstappen, ma non è questo il punto. Questa Formula 1 è ormai come una scontata operazione matematica: inverti i fattori, il prodotto non cambia. Avesse pure vinto la Ferrari, staremmo qui a dire le stesse cose. Dov’è finita la Formula 1 di ieri? Quella che appassionava, quella che ti teneva incollato alla TV e non sempre perchè (qualche volta) le Rosse regalavano sorrisi? Dov’è finita la Formula 1 dov’era il pilota a contare di più, non le gomme, le gonne, le diavolerie tecnologiche o regolamentari? La gente amava Lauda e Senna, Villeneuve e Prost, perchè quando vincevano, vincevano loro. Mica le macchine. Perchè sull’impresa c’era (quasi) sempre la firma del campione, l’autografo con dedica a milioni di tifosi. Questo appassionava la gente, che poteva sempre aspettarsi di tutto, perchè serviva una macchina a posto, ma il resto toccava al pilota. Alla sua bravura, un mix di coraggio, qualità, fortuna, cuore, passione, sentimenti. Se è vero che la macchina contava 60, l’altro 40 toccava a chi s’infilava nell’abitacolo e sapeva di dovercelo mettere. Oggi è un’altra storia. Oggi la macchina è 95 e il resto ce lo mette il pilota. Oggi “era già tutto previsto”, come dice una vecchia canzone di Cocciante. Oggi l’unica variabile, purtroppo, è quella del regolamento, una sorta di Var applicato a discrezione dei giudici, senza un protocollo chiaro, senza regole trasparenti. Un po’ come nell’ultima stagione del calcio, se vogliamo, dove anche la tecnologia s’è piegata spesso e non si sa quanto volentieri, ai “poteri forti” dello sport: vado a rivedere l’azione se riguarda la Juve, non ci vado se riguarda il Chievo. Più o meno così è anche questa Formula 1 aggrovigliata su se stessa, vittima di scelte sbagliate, sospesa a metà tra quello che era, quello che è diventata, e quello che vorrebbe essere. E intanto, il tifoso cambia canale, non solo perchè la Ferrari (anche questo conta, certo…) è a sua volta in un tunnel che sembra senza via d’uscita. Il tifoso cambia canale e sceglie altro, soprattutto se dall’altra parte c’è un ragazzino di Verona, detto Roccia, che scatta a 40 km dall’arrivo, forse senza sapere se avrà “benzina” sufficiente, sa che non è previsto un pit stop, sa solo che dovrà tenere il piede a tutta sull’acceleratore. Tu cambi canale e resti lì, a “pedalare” con lui, a contare i km, a guardare il cronometro. E’ ancora il ciclismo a riportarci all’indietro, a uno sport dov’è ancora il campione a far la differenza. Formula 1? No, grazie. Molto meglio Formolo 1…

L.T.