Continua il dibattito, con i toni super accesi, dopo il tragico episodio accaduto in Stazione a Porta Nuova dove è stato ucciso un giovane maliano. Per il tragico fatto di sangue, lo ricordiamo, è stato iscritto nel registro degli indagati il poliziotto che aveva risposto all’aggressore armato di coltello esplodendo tre colpi di arma da fuoco, uno dei quali l’aveva attinto al petto. Da tempo come Cgil – si legge in una nota – denunciamo l’iniquità di tutta la filiera di gestione dei flussi migratori che poggia su una legge, la Bossi Fini, che favorisce e talvolta istituzionalizza il lavoro precario, nero e il caporalato rappresentando allo stesso tempo una barriera all’accesso e alla esigibilità dei diritti civili e sociali e dei servizi pubblici da parte dei migranti. Anche la tragedia consumata domenica in stazione – continua la nota della segreteria Cgil di Verona- è in buona parte il portato di questi processi di tutele negate, diritti ignorati, tentativi di integrazione respinti e frustrati. Come migliaia di altri migranti, Moussa aveva un lavoro, ma non era sufficiente per avere accesso ad una casa. Il futuro che cercava è rimasto imbrigliato nella burocrazia. Il suo disagio non è stato preso in carico. Secondo i sindacati Cgil gli agenti appartenenti ad ogni corpo di polizia non dovrebbero essere messi nelle condizioni di sparare. Sono spesso esposti all’involuzione di una certa politica che si attiva soltanto sulla base di emergenze mediatiche trascurando il corretto dimensionamento degli organici e delle risorse a disposizione degli agenti; che propaganda le pene per vendette; criminalizza il disagio sociale e pesa la gravità dei reati per censo, etnia, religione e colore della pelle. Nella nota si punta il dito sulla frase usata dal ministro Salvini “che ha condannato, a corpo ancora caldo, senza sapere chi fosse la vittima e quali le circostanze”.