Giù le mani dalla Fiera. E’ quello che chiede il deputato Dem Gianni Dal Moro, secondo il quale due mesi prima delle elezioni si vorrebbe porre mano al vertice e al cda della Fiera, “in esecuzione-dice- di accordi spartitori pre-elettorali fatti dall’attuale maggioranza di Palazzo Barbieri, frutti del compromesso per sostenere la ricandidatura del sindaco Sboarina’’.
Il parlamentare ricorda che le previsioni di crescita dei Paesi maturi in ambito fieristico, prima del lockdown, erano buone. L’Italia no: aveva realisticamente fotografato una contrazione. Questi i dati: Usa al 51% dei ricavi fieristici mondiali, Germania al 9%, la Cina al’8%, Regno Unito al 7%. L’Italia? il 4%. “E’ dentro questo 4%- aggiunge- che va valutata, inquadrata, pensata e rilanciata l’attività di Veronafiere, accettando il dato di partenza che imponeva un cambio di passo prima di Covid 19.
L’azione decisa dal Governo Draghi e la caparbietà del Presidente delle Fiere Italiane nonché attuale Presidente della Fiera di Verona Maurizio Danese,- sottolinea- hanno consentito di salvare la società apportando risorse e liquidità importanti per oltrepassare il tunnel imposto dalla pandemia. Scampato il pericolo, appare alquanto preoccupante il desiderio di mettere le mani, adesso, sulla fiera di Verona da parte dei suoi azionisti e in principal modo da parte del Comune di Verona’’. Secondo Dal Moro “prima della divisione della Gallia, occorre oggi guardare alla salute dell’Impero, che oggi a Verona si chiama: Fiera, Arena, cultura, turismo e servizi dove dipendiamo straordinariamente dalla esemplarità della risposta che la città e le sue principali istituzioni sapranno dare. Ma anziché concentrarsi sulla strategia per capire se Veronafiere è pronta a declinare i propri brand nel nuovo scenario competitivo mondiale, sperimentando e proponendo nei prossimi mesi (non dico anni) format innovativi di partecipazione e connessione al mercato, la politica discute per anni del nuovo statuto della Fiera portando il cda da 5 a 7 componenti e prevedendo oltre il presidente e il direttore generale anche la nuova figura dell’amministratore delegato. Una moltiplicazione dei ruoli e delle prebende alla faccia della crisi che attanaglia le imprese e le famiglie veronesi’’.
L’unica fiera italiana a respiro internazionale non quotata in Borsa è oggi Bologna, con 90 milioni in più di fatturato pre-Covid guidata da un Presidente e da un Dg. Milano (quotata) ha un presidente e un direttore Generale e lo stesso dicasi per Rimini.
“Non è comprensibile perché Verona, la più piccola delle fiere internazionali italiane, debba prevedere tre figure apicali e non due. Per queste e molte altre ragioni mi colpisce il fatto che il destino della Fiera sia stato anticipato rispetto al destino della sua città e che le nomine interne, benché in prossimità del voto, siano scrupolosamente discendenti da accordi politici anziché analiticamente ascendenti da visioni strategiche’’. Come prevede la legge sarebbe invece possibile approvare il bilancio ed eleggere il nuovo cda entro il 30 giugno a risultato elettorale acquisito.
“Sono certo, o meglio mi auguro,- conclude- che se la protervia portasse alla nomina del cda e delle sue figure apicali prima di conoscere il risultato delle prossime elezioni del Comune di Verona, in caso di vittoria di Damiano Tommasi tutto il vertice fieristico abbia sufficiente senso civico da presentarsi dimissionario. Senza se e senza ma’’.