Fedeli getta ponti al futuro Il primo lavoro del dopoguerra fu la ricostruzione dei 9 ponti distrutti dai tedeschi. L’intesa col vice Trabucchi alla base degli eccellenti risultati ottenuti

Con l’ingresso in città da Porta Nuova delle Forze alleate il 26 aprile 1945, Verona usciva dalla guerra. Ma la situazione che attendeva il primo sindaco, il socialista Aldo Fedeli, noto e rispettato avvocato civilista, era drammatica. Tutti e nove i ponti sull’Adige erano saltati, il 60 per cento delle case erano danneggiate, 8 mila abitazioni erano distrutte e 19 mila inabitabili. Le grandi fabbriche come Galtarossa, Mondadori e Fedrigoni erano dissestate; stazione, linee ferroviarie e edifici pubblici ridotti a un cumulo di macerie. In una città di 160 mila abitanti, la penuria di rifornimenti alimentari risultava gravissima. Con le prime elezioni amministrative del marzo 1946, Fedeli viene designato a capo di una giunta rappresentativa dei tre partiti popolari più votati (Democrazia cristiana, socialisti e comunisti), animati da un forte spirito di collaborazione, frutto dei tempi. Al socialista Fedeli è affiancato, come vicesindaco, il democristiano Giuseppe Trabucchi. Fedeli e Trabucchi sono personalità molto diverse tra loro, ma il gioco di squadra che si realizza fra i due risulta assolutamente efficace per far fronte in tempi rapidi ai mille, assillanti problemi da risolvere per la ricostruzione della città. Di fronte al dramma dei reduci e dei disoccupati, nel luglio del ’46 il Comune approva un piano per impiegare 7 mila maestranze. Per prima cosa occorre procedere alla ricostruzione dei ponti fatti saltare dai tedeschi in fuga: il 13 agosto viene inaugurato il ponte Catena, in ottobre il ponte Nuovo, nell’agosto del ’47 il ponte Garibaldi, due anni dopo il ponte Navi e nel 1950 i ponti San Francesco e Aleardi (si dovrà attendere il 1951 per Castelvecchio, il ’53 per ponte della Vittoria e il ’59, dopo un lavoro certosino di recupero in Adige dei conci originari, per ponte Pietra). Fu merito di Trabucchi il riassestamento degli uffici finanziari comunali, per riattivare un gettito fiscale adeguato al finanziamento dei progetti di sviluppo, indispensabili per il progresso futuro di Verona. Il più importante dei quali fu la creazione della Zona agricola industriale nella parte sud della città. Il progetto viene deliberato dal consiglio comunale nella seduta del 30 ottobre 1947, ma l’idea si concretizza a partire dall’aprile del ’48, con l’acquisto o l’esproprio di 6 milioni 600 mila mq. e la costituzione del Consorzio di gestione formato da Comune, Provincia e Camera di Commercio. Contempo­rane­amente vengono acquistate nuove aree per lo sviluppo dei Magazzini Generali, del nuovo Macello, della Fiera (spostata nella nuova sede nel ’48, in occasione della 50° edizione) e del mercato Ortofrut­ticolo, che da piazza Isolo trasloca anch’esso nella nuova Zai. Oltre a ciò, il grande merito della prima amministrazione democratica di Verona fu quello di rimettere in sesto la macchina comunale, consentendole di funzionare in maniera efficiente ed autorevole. Il 19 marzo 1950 si svolge da cerimonia di inaugurazione del municipio: l’ampliamento circolare sul retro di palazzo Barbieri, su progetto degli architetti Raffaele Benatti e Guido Troiani, aveva richiesto 80 mila giornate lavorative ed un costo di 390 milioni, cinquanta dei quali recuperati vendendo parte del bottino di guerra abbandonato dai tedeschi.