La Guardia di Finanza di Verona, all’esito di specifiche indagini delegate dalla locale Procura della Repubblica per contrastare l’evasione e le frodi fiscali, alle prime luci dell’alba ha dato esecuzione ad un’ordinanza di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti due persone e ad un decreto di sequestro preventivo «per equivalente» di oltre un milione di euro.
Le misure cautelari, disposte dal Gip del Tribunale di Verona su richiesta della Procura della Repubblica, sono state emesse nei confronti di due uomini della provincia.
A finire in carcere sono stati un 53enne, in passato già implicato in fatti analoghi e arrestato nell’ambito di un’indagine della Procura della Repubblica di Brescia e un suo cugino 51enne, alternatisi nella carica di presidente del C.d.A. di una società del veronese operante nel settore del commercio all’ingrosso di rottami. I due sono accusati del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti per un importo di oltre 4,2 mi-lioni di euro.
Per tali motivi, i finanzieri del Comando Provinciale di Verona stanno anche procedendo a sequestrare quanto da loro illecitamente sottratto alle casse dell’erario, assicurando allo Stato liquidità bancarie e altri beni riconducibili alla società e ai due arrestati per un valore complessivo di 1.025.150 euro. I militari del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Verona che hanno svolto le indagini, hanno accertato che l’azienda amministrata dai due, per pagare meno imposte, negli anni 2017/2019 aveva utilizzato una settantina di fatture false emesse da ditte compiacenti; si tratta, in particolare, di due imprese della provincia di Brescia, di una società della provincia di Bergamo e di un’altra ditta operante del mantovano, risultate essere tutte evasori totali. Oltre a non presentare le dichiarazioni fiscali, le Fiamme Gialle hanno infatti accertato che quest’ultime imprese – vere e proprie aziende «fantasma» – non avevano dipendenti né disponevano di mezzi in grado di trasportare i quantitativi di rottami ferrosi venduti solo “cartolarmente”. Le ditte erano, inoltre, amministrate da prestanomi che, dietro compenso, si erano offerti per l’illecito scopo.
In un caso i finanzieri hanno scoperto che uno di loro aveva pattuito una retribuzione mensile di 3 mila euro; un’altra donna, invece, ha confessato di aver accettato la somma di 20 mila euro in contanti per la costituzione di una ditta a suo nome.