Dopo solo otto ore dalla proclamazione unilaterale dello Stato di Israele scoppiò la prima guerra
arabo-israeliana, che gli israeliani chiamano guerra di indipendenza. Lo scontro bellico durò circa otto mesi e si protrasse con due tregue fino al 25 Gennaio 1949. Iniziò nella notte tra il 14 e 15 Maggio 1948, quando gli eserciti di Egitto, Giordania, Libano e Siria assieme ad alcuni contingenti militari di Iraq e Arabia Saudita, oltrepassarono i confini dello stato israeliano e cominciarono ad avanzare da nord, da est e da sud con l’obiettivo di ricacciare gli Israeliani in mare.
Il segretario generale della Lega araba Azzam Pasha dichiarò: “Questa guerra sarà una guerra di sterminio, e avrà proporzioni tali che se ne parlerà come dei massacri mongoli sui Crociati.” La reazione bellica
degli stati arabi alla fondazione dello Stato di Israele fece morire sul nascere la creazione dello stato arabo-palestinese e la guerra civile palestinese divenne un conflitto tra stati.
In quel momento, è stato rilevato, “agli arabi di Palestina premeva più non avere uno Stato ebraico che di averne uno arabo-palestinese”. Va anche ricordato che i politici degli Stati arabi della regione, a partire dall’Aprile del 1948, avevano predisposto un piano di salvataggio della Palestina che prevedeva uno schema di annessione della maggior parte della stessa ai Paesi arabi che avessero partecipato alla guerra.
Le forze messe in campo dai due schieramenti erano all’inizio più numerose quelle degli eserciti arabi per poi diventare grosso modo equivalenti nel corso del conflitto e raggiungere i 100.000 uomini circa. La differenza reale fu che gli Israeliani erano meglio equipaggiati e con maggiore esperienza, oltre a disporre di reparti scelti (il Palmach) ottimamente
addestrati rispetto ai corpi paramilitari palestinesi, che invece erano male armati, poco disciplinati, inesperti e controllati dalle fazioni e dai clan. Furono inoltre inclusi nell’esercito israeliano anche l’Haganà e l’Irgun. Nei primi giorni di guerra le avanzate arabe non incontrarono soverchie resistenze, a eccezione del fronte settentrionale, dove le truppe libanesi e siriane furono fermatedalla accanita difesa degli Ebrei. Il 19 Maggio la Legione araba attaccò Gerusalemme e conquistò il
quartiere ebraico della città vecchia. Il 20 Maggio il segretario generale dell’Onu nominò, con grave ritardo, il conte Folke Bernardotte, presidente della Croce Rossa, con la funzione di mediatore per ricomporre una situazione ormai irrimediabilmente compromessa. Il suo progetto,
presentato il primo di Luglio, prevedeva nuovi confini tra i due stati e l’annessione alla Transgiordania del Negev e di Gerusalemme. La sua proposta non ebbe seguito, anzi, contribuì a esasperare e a radicalizzare le posizioni e il 17 settembre venne assassinato, assieme al suocollaboratore, da alcuni terroristi ebrei.
Nel frattempo le vicende belliche volsero nettamente a favore dell’esercito israeliano, che sapeva sfruttare abilmente anche le evidenti difficoltà delle forze arabe: scarsità di armi e munizioni, linee di rifornimento troppo lunghe e mancanza di esperienza bellica.
L‘11 Giugno, al termine della prima tregua, parti della Palestina meridionale erano in mano egiziana, mentre la Cisgiordania e Gerusalemme Est erano controllate dalle forze della Transgiordania. L’assetto territoriale del momento era ritenuto soddisfacente da ‘Abd Allā, che vedeva estendersi ampiamente il regno hashemita, ed era ben accetto dalla Gran Bretagna, che considerava la nuova divisione abbastanza favorevole ai suoi interessi nell’ area.
Di tutt’altro avviso, invece, erano gli altri belligeranti (Israele, Egitto, Siria e Iraq), che, come osserva Ilan Pappe, erano “intenzionati a continuare lo spargimento di sangue, con ciascuna parte che sperava di ricavarne maggiori guadagni territoriali”.
Appare ancora una volta evidente che nessuno era interessato alla causa del popolo arabo-palestinese. Alla ripresa delle operazioni belliche, Israele fu favorito dall’arrivo di nuove armi provenienti dalla Francia e dalla Cecoslovacchia, per conto dell’URSS, grazie alle quali iniziò a bombardare Il Cairo e Damasco e l’esercito israeliano poteva contare anche sull’apporto continuo di nuovi arruolamenti in virtù dell’incessante flusso migratorio di ebrei. I contrattacchi israeliani divennero sempre più irresistibili e, dopo la fallita offensiva egiziana del gennaio del 1949, Transgiordania, Egitto, Siria e Libano firmarono armistizi separati con Israele nella Conferenza di Rodi del 24 Febbraio 1949. Arabia Saudita, Iraq e Yemen non firmarono alcun armistizio, facendo leva sul fatto che non avevano confini comuni con Israele.
Quello che doveva essere lo Stato arabo-palestinese fu diviso in territori annessi dalla Transgiordania (Cisgiordania e Gerusalemme Est), dall’Egitto (la Striscia di Gaza) e da Israele (il Negev e territori minori). Gli armistizi fissarono de facto come confini i fronti di guerra senza essere riconosciuti dalle Nazioni Unite.
L’unità geopolitica della Palestina, quindi, fu spezzata in tre piccole entità: la Cisgiordania (annessa alla Transgiordania senza il consenso della popolazione), la striscia di Gaza (posta in uno stato di isolamento e sotto il controllo egiziano) e lo Stato di Israele.
Romeo Ferrari, docente di storia e filosofia