Erodoto ci offre spazi per la riflessione Sosteneva che la democrazia è la forma migliore di governo, non quella perfetta

È convinzione diffusa, e non del tutto a torto, che la forma di governo democratica abbia avuto origine nella Grecia di età classica, tra V e IV secolo. La città era infatti gestita politicamente da un’assemblea di cittadini, i quali decidevano delle politiche economiche e militari tramite votazione diretta. A prima vista, potrebbe sembrare che questa struttura amministrativa sia simile a quella tipica delle attuali democrazie liberali, ma così non è.
La differenza principale, e non di poco conto, è che la democrazia greca non prevede, naturalmente, il suffragio universale; ciò non significa, però, che il suffragio fosse limitato, com’è stato fino a non molti decenni fa anche in Italia, alla popolazione adulta maschile.
L’assetto socioeconomico dell’Atene classica comprendeva un’ampia schiera di persone – schiavi, ma non solo – che pur essendo talvolta più ricchi e potenzialmente influenti dei cittadini, non godevano di alcun diritto, ma risiedevano nel territorio ateniese senza poter partecipare al governo.
Un’altra differenza evidente, ma significativa, è che Atene era una città e, sebbene possa essere considerata in qualche senso un’entità statale, certamente non aveva neppure lontanamente le dimensioni di ciò che noi oggi consideriamo in questo modo, né era una città grande: per concepire un esempio, si dovrebbe pensare all’assetto della Repubblica di San Marino.
Le dimensioni limitate rendevano questa forma di democrazia diretta praticabile in un modo che con le dimensioni moderne sarebbe impossibile. D’altra parte non sarebbe da credere che la democrazia fosse considerata positivamente da tutti gli ateniesi, e casi illustri, quali Platone o Isocrate, danno voce alla convinzione per la quale il demos, ossia il popolo, è una bestia indomabile, soggetta alle passioni e che necessita di essere guidata quantomeno da una oligarchia, possibilmente di superiorità intellettuale.
Insomma, una democrazia certamente, ma ridotta, claudicante agli occhi dei moderni, certamente non idolatrata da chi vi viveva dentro e soggetta alle medesime dinamiche di corruzione che contribuiscono a inquinare oggi il dibattito politico e a orientare, più o meno surrettiziamente, il consenso.
In Atene, la pratica dell’ostracismo serviva a isolare coloro che formalmente avevano agito contro gli interessi della città, ma che, praticamente, avevano assunto troppo potere e minacciavano di concentrare eccessivamente il controllo sul popolo.
Ciò che caratterizza il pensiero greco, in ogni caso, è la costante autoriflessione sul metodo di governo prescelto, alla ricerca di quello migliore: un dibattito che oggi si è perso, nella convinzione che, mentre allora la compresenza ravvicinata di oligarchie, monarchie, imperi poneva imperativamente l’esigenza di un confronto, oggi l’Occidente ha decretato in modo assai netto la superiorità della propria struttura istituzionale.
Certamente questo è un bene nella misura in cui esclude l’ipotesi di valutare positivamente forme di governo oppressive e antidemocratiche; ma esclude anche, d’altra parte, una piena libertà di riflettere sulle storture che pur riguardano le democrazie liberali. Nel cosiddetto discorso tripolitikòs, lo storico Erodoto giungeva a concludere che la democrazia fosse la forma di governo migliore possibile, non quella perfetta: una conclusione su cui forse anche oggi varrebbe la pena riflettere.

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