Eriksen, tutti tifiamo per lui. Ma perchè l’Italia dice di no. E l’Inghilterra lo fa giocare? L’anomalia della normativa nettamente diversa tra due Paesi

Spettabile redazione,
vi sottopongo un problema che non è direttamente veronese, ma che riguarda in generale tutto lo sport mondiale. Mi riferisco al ritorno in campo di Eriksen, il giocatore danese che aveva rischiato la vita all’Europeo. Se non sbaglio, Eriksen non aveva avuto l’idoneità in Italia e l’Inter era stata costretta a sciogliere il rapporto. Però, Eriksen è tornato in campo col Brentford, campionato inglese, dove evidentemente la normativa è diversa. A me sembra un’assurdità: se Eriksen può giocare, può farlo anche in Italia. Ma se invece corre dei rischi, non dovrebbe giocare neppure in Inghilterra. Che cosa ne pensate?
Giorgio, Verona

Gentilissimo Giorgio,
in effetti lei ha perfettamente ragione, è quello che pensiamo anche noi, ma, probabilmente, è il pensiero della stragrande maggioranza dei tifosi.In effetti, non si capisce come ci possano essere valutazioni così diverse, rispetto a patologie così serie. Eriksen ha rischiato la vita, gli è stato inserito un defibrillatore, che in Italia non è consentito. La normativa dovrebbe essere uniforme, anche se, per Eriksen, ovviamente, è molto meglio così. Ha ripreso, s’è allenato, ha giocato col Brentford, può allungare la sua carriera e continuare a fare quello che gli piace di più. Però, diciamolo, restano sempre molti dubbi su queste divergenze che non dovrebbero esistere. L’idoneità non può essere legata alla normativa, più “stretta” in Italia, più “larga” in certi paesi europei. Se il pericolo esiste, esiste e basta. Se il defibrillatore non è consentito in Italia, perchè altre Federazioni lo permettono?
Domanda che tutti si pongono alla quale è difficile dare una risposta. E’chiaro, l’augurio è che Eriksen possa tornare il campione di prima, magari anche in Nazionale. E, ovviamente, tuttoil mondo dello sport fa il tifo per lui. Ma questa procedura, qualche dubbio lo lascia, inutile nasconderlo. E forse, i vertici dello sport mondiale dovrebbero dare una risposta diversa.