Gli Eradius sono un duo formatosi nel 2016 a Verona. A comporlo il veronese Edoardo Gomiero (batteria) e il londinese Richard Dylan Ponte (basso e voce). Principalmente la loro musica si può definire come hard rock/ stoner. Definizione che però risulta piuttosto stretta dato le molte influenze della loro produzione.
Gli Eradius hanno pubblicato il loro primo omonimo album nel 2018. È seguito poi un tour che li ha portati a esibirsi sia in Italia che all’estero, in centro ed est Europa. Nel 2021 è invece uscito un EP, “Vol.1”, sotto l’etichetta americana Legend Recordings.
Siete un duo basso/batteria. Come create un sound così pieno da sembrare composto da molti più strumenti?
Richard: “Anche semplicemente distorcendo il basso riesci a fare delle linee ritmiche che possono tenere su la canzone. A livello tecnico il basso viene effettato molto pesantemente, prima con un sintetizzatore che lo rende di una/due ottave più alto. Poi con un giochino di pedali, linee e amplificatori molteplici. Io suono con un amplificatore per il basso e due per il segnale di chitarra che vengono splittati a destra e a sinistra. C’è quindi una sola linea melodica divisa in segnale da basso e da chitarra. Poi, dimentichi tutto quello che è synth e assoli”.
Pro e contro di essere un duo?
R: “Decisioni molto veloci”.
Edoardo: “Sicuramente a livello logistico è più facile sia per prove e tour. È molto più istintivo e veloce come composizione perché appunto hai due strumenti più la voce. Dall’altra questo può limitarti. Nel senso che dopo un po’ finiscono le idee. Infatti, è per questo che ci affidiamo molto al nostro produttore. Un altro lato negativo è che quando si è in disaccordo non c’è mai la maggioranza. È anche un gioco di fiducia. Bisogna fidarsi uno dell’altro, perché uno deve cedere”.
La canzone che vi rappresenta?
R: “’Another Time’ o ‘Until The End’. Sono anche due facce della stessa medaglia perché noi abbiamo una faccia più cattiva che in realtà è quella che vorremmo fare. Una musica più complessa, un po’ più distorta, un po’ più pesante. Dall’altro c’è la nostra indole un po’ blues, pop”.
E: “Anche ‘Medusa’, forse. Lì c’è un po’ di funky. Abbiamo tante influenze e abbiamo cercato di mettere tutto nel calderone. Questo ci ha portato a creare cose diverse e interessanti da un lato. Dall’altro non ci categorizza mai”.
Che influenze avete?
Entrambi: “Rage Against The Machine.”
E: “Gruppi come Royal Blood o The Amazons. Richard anche i Tool. Io arrivo da un’adolescenza metal, quindi Led Zeppelin, Iron Maiden ecc … Poi ho studiato jazz ho suonato tanto funky”.
Come si è evoluta la vostra musica e cosa dobbiamo aspettarci dalle prossime uscite?
R: “Nel primo album non si capisce bene che linea stiamo prendendo. Ultimamente la sonorità è un pochino più chiara, i pezzi più studiati. Per le prossime volte, sicuramente tenteremo di rendere ancora più agevole l’ascolto, in modo arrivi a più persone possibil”.
E: “Nei lavori prossimi cecheremo di tagliare sicuramente tante cose e ascoltare con orecchie esterne. Abbiamo imparato che tante volte suonando senti una cosa, mentre quando la senti davanti è tutt’altro”.
La vostra ultima uscita è il remix del vostro brano “I Wanna See Your Face”. Com’è nata l’idea?
R: “È stato un ‘miscalcolo’. Ci siamo detti ‘c’è la pandemia. Facciamo un remix per riempire’. Ci abbiamo messo però un anno. Comunque, volevamo già provare a fare qualcosina. La canzone si prestava già di suo a essere remixata”.
Giorgia Silvestri