Forse non è del tutto corretto tracciare delle analogie tra ciò che sta avvenendo in Europa in questi giorni e il periodo della guerra fredda della seconda metà del secolo scorso, ma non c’è dubbio che stiamo attraversando e ci attendono tempi bui e pericolosi.
Un domani gli storici descriveranno il periodo compreso tra il 2014 (occupazione russa della Crimea ed insurrezione dei separatisti nel Donbas) e il 2022 come un intervallo determinante nell’evoluzione della politica europea del ventunesimo secolo.
Molti dei processi e delle tendenze che sono stati avviati nel 2014 hanno assunto oggi una forma definitiva.
In questo periodo temporale la Russia ha accelerato la modernizzazione delle sue forze armate, accumulato riserve valutarie e ampliato le relazioni commerciali con la Cina. L’Occidente ha elaborato nuovi meccanismi sanzionatori, ha rafforzato il fianco orientale della Nato e aumentato il livello di coordinamento politico all’interno dell’Alleanza Atlantica e nell’Unione Europea, incrementando l’assistenza tecnico-militare all’Ucraina. Durante questi otto anni di relativa calma, ci sono stati ripetuti tentativi di trasformare la tregua in una pace duratura e sostenibile, ma, sfortunatamente, nessuna delle proposte è mai stata ascoltata.
Il divario tra Russia e Occidente si è, quindi, allargato sempre più così come la tensione attorno all’Ucraina ha continuato ad accumularsi. L’invasione dell’Ucraina significa anche una profondissima crisi per le relazioni tra Russia e Occidente.
In questi ultimi mesi la macchina propagandistica di Putin ha ripetuto in continuazione che l’Ucraina va vista come uno «Stato terrorista»: le minacce non toccano soltanto l’Ucraina, ma l’Occidente tutto.
La reazione compatta dei Paesi occidentali è stata una sorpresa per la Russia, abituata a blande dichiarazioni che menzionano soltanto una «forte preoccupazione». Questa volta l’Occidente ha reagito con mirabile compattezza, dando a Kiev un appoggio senza precedenti.
Putin definisce la sua azione «denazificazione» con l’intento di «salvare i russi dal genocidio». Così come c’era in Russia un doping di stato, questo lo possiamo definire un terrorismo di Stato. Gli ucraini vogliono, come noi, semplicemente vivere, studiare, lavorare, viaggiare. Per questo non si arrenderanno.
Mosca può scatenare qualsiasi tipo di repressione neo-staliniana, ma sarà costretta a pagare un alto prezzo, come dimostra il suo attuale isolamento internazionale, il crollo del rublo e dell’economia, a cui si aggiunge anche il compatto rifiuto dei cittadini ucraini di perdere la libertà conquistata.
Se l’Ucraina vive adesso il periodo più pericoloso e tragico della sua storia, la Russia vive uno dei suoi più profondi degradi. La politica è ridotta a slogan vuoti, continui ricatti, brutalità gratuita, manipolazione di idee obsolete e dell’informazione stessa.