Eppure Giuda ha permesso la salvezza Perchè la discussa figura del “traditore” per antonomasia merita di essere approfondita

La figura di Giuda Iscariota non può che indurre il lettore dei Vangeli, e in generale chiunque conosca la vicenda che ha condotto, secondo quanto si narra, alla consegna di Cristo ai suoi persecutori dietro pagamento dei noti trenta denari, a interrogarsi sul ruolo di questa figura e sul modo di interpretare quanto di lui è stato detto, e il ruolo che egli ha assunto all’interno dell’esplicitazione storica della Rivelazione cristiana.
Giuda è un traditore, anzi, è il traditore per antonomasia, tant’è che il suo nome è entrato nel linguaggio comunque esattamente con questo significato. Dante lo colloca al livello più basso dell’Inferno, masticato per l’eternità da una delle tre bocche diaboliche di Lucifero: una sorte cruda e dura, che però suscita qualche perplessità. In anni anche recenti si è discusso sull’effettiva colpa di Giuda, e anche Benedetto XVI si è espresso sottolineando il pentimento successivo all’atto traditore, sfociato nel suicidio, e rimandando alla misericordia divina insondabile e misteriosa la valutazione delle azioni dell’ultimo degli apostoli.
Tuttavia, una riflessione sul “ruolo”, per così dire, dell’azione divina rispetto a quanto compiuto da Giuda, e in particolare della natura del piano provvidenziale che, secondo la dottrina cristiana, è inscritto dall’eternità nella mente di Dio. Giuda ricopre una funzione tutt’altro che marginale: senza il suo tradimento, non si sarebbe probabilmente compiuto l’atto della crocifissione e la successiva resurrezione di Cristo, evento centrale e perno della salvazione dell’umanità.
D’altronde, la teologia cristiana cattolica riconosce e sottolinea la dimensione della libertà d’arbitrio umana, generando un serissimo problema interpretativo e filosofico sul come – o sul se – sia possibile combinare la libertà umana, contingente, con la conoscenza eterna e indefettibile che Dio, per definizione, non può non avere che in modo necessario.
Il tema è stato dibattuto per secoli, con importanti interventi da parte, tra gli altri, di Severino Boezio, di Duns Scoto, di Tommaso d’Aquino. Ma il caso di Giuda è particolarmente significativo per l’impatto che ha, sebbene il problema venga sollevato potenzialmente da ogni evento: se Dio sapeva che Giuda avrebbe tradito e, anzi, il tradimento di Giuda è funzionale al compimento della missione salvifica di Cristo, Giuda ha colpa per ciò che ha fatto? La risposta dottrinalmente corretta è sì, perché Giuda ha scelto di tradire. Ma i tentativi, per quanto blandi, di riabilitarne la figura segnalano il fatto che, in fondo, sebbene il Dio cristiano non sia un Dio burattinaio che gioca con gli uomini come con delle pedine, la sensazione che Giuda sia stato caricato della funzione di traditore, perché così doveva essere, e sia stato punito per questo, rimane persistente e induce, forse, a provare – se non simpatia – una certa empatia per quest’uomo dannato per aver permesso la salvezza.
EffeEmme