Il timore di una nuova epidemia, questa volta sostenuta dal Coronavirus, che può diventare pandemia, rievoca alla mente le terribili pestilenze che hanno sconvolto l’umanità attraversando l’Asia, l’Europa ed i paesi affacciati sul Mediterraneo, lasciando profondi solchi nelle popolazioni e nelle civiltà colpite. Una buona parte di queste temibili malattie come la Peste ed il Vaiolo sono state sconfitte ma alcune di esse permangono attive, come L’Aids, il colera, Ebola e l’influenza stessa, rappresentando nemici del genere umano che possono però essere riconosciuti, evitati, bloccati, prevenuti e comunque sconfitti dai farmaci e dai vaccini. Ma ci sono ben altre modalità di diffusione di altrettante epidemie più difficili da combattere perché non legate ad uno specifico nemico infettante. Esistono consolidati comportamenti individuali che per innumerevoli e complicati motivi si diffondono tra le persone per fenomeni di pseudo imitazione che molto difficilmente possono essere sradicati. E’ così tuttora, e non se ne vede nemmeno la fine, per l’abitudine al fumo di tabacco, all’assunzione di alcol e all’abuso di droghe e del loro doloroso impatto sulla salute e sulla sopravvivenza delle persone ad ogni latitudine del nostro mondo. In questo senso, l’ultima in ordine di tempo è stata “l’opioid epidemic” che ha colpito gli Stati Uniti d’America agli inizi degli anni 2000 e che rappresenta ancora adesso la principale emergenza sanitaria di questo Paese, diventando la principale causa di morte, maggiore dell’Aids e degli incidenti stradali, nelle fasce di età giovani-adulte. Un dato su tutti è rappresentato dalla speranza di vita della popolazione americana, che è aumentata di due anni tra il 2000 ed il 2015, ma che sarebbe incrementata di quasi un anno in più senza le morti per overdose da abuso di farmaci antidolorifici oppioidi di prescrizione: Ossicodone, Idrocodone e Fentanyl. Ma come è cominciata questa nuova “malattia” sfociata anch’essa in vera e propria epidemia? Era l’anno 2000 quando l’OMS produceva un documento in cui proponeva, ai governi ed alle istituzioni mondiali, delle linee guida volte a trovare l’equilibrio fra due esigenze solo apparentemente inconciliabili: quella di controllare il traffico e l’uso di sostanze illecite con legislazioni appropriate da una parte e la necessità di assicurare la disponibilità medica di oppioidi per la terapia del dolore dall’altra. In tale documento si sottolineava che, se l’uso ricreativo di oppioidi rappresentava una minaccia per la società, il sistema normativo volto a controllarlo non poteva impedire il legittimo uso medico nella terapia antalgica. Camillo Smacchia
I “Pain Killer” hanno scalzato le altre droghe
E’ così che prende vita, a fronte di una maggiore disponibilità degli analgesici a base di oppio e derivati, un considerevole ed incontrollato aumento di prescrizioni mediche e del conseguente uso improprio di questi farmaci, assunti successivamente quasi esclusivamente a scopo voluttuario e tossicomanico con ripercussioni di morbilità e di mortalità tali da rendere il fenomeno una gravissima questione di salute pubblica per tutti gli Stati Uniti d’America. Ed è per questo che negli ultimi venti anni le sostanze maggiormente in causa nel provocare morti per overdose nonché interventi medici ed ospedalieri per problemi psichiatrici, di dipendenza e di patologie correlate, senza tralasciare tutti gli aspetti socio-economici e di criminalità associati a questo dilagante fenomeno, sono stati i cosiddetti “Pain Killer”, cioè gli antidolorifici oppiacei che hanno abbondantemente scalzato, in termini numerici complessivi, le droghe “classiche” come eroina, cocaina e cannabis. Così come i confini cinesi nei riguardi del Coronavirus, per quanto tempo ancora reggeranno i confini americani prima dell’arrivo anche da noi di queste altrettanto pericolosissime infezioni comportamentali?
C.S.