Le lunghe file alla proiezione delle 8.30 della 78ª Mostra del Cinema di Venezia e la folla accalcatasi vicino al red carpet danno la misura di quanto il Dune di Denis Villeneuve fosse atteso da cinefili e non di ogni angolo del mondo.
Eccoci, dopo averlo visto, con la fatidica domanda: il riadattamento del libro di Frank Herbert ha retto al peso delle aspettative?
Se a emettere il verdetto definitivo sarà il pubblico di fan e cultori del genere pronti ad affollare le sale dal 16 settembre, qualche considerazione sull’enormità dell’opera compiuta dal regista canadese va fatta.
Enorme è difatti l’unico aggettivo conforme alla natura del lavoro di Villeneuve, che narra la storia del giovane Paul, discendente della casata degli Atreides alle prese con la conquista del pianeta Arrakis, impiegando tutte le maestranze del cinema per ottenere una resa estetica senza precedenti: costumi, scenografie, navicelle aerospaziali e strane creature sono delineati con una estrema cura, dotati di linee essenziali, geometriche e per questo incredibilmente piacevoli per l’occhio dello spettatore.
La capacità registica di Villeneuve è qui al massimo delle sue potenzialità, se si pensa che persino la lunghissima durata del racconto mantiene sempre un certo equilibro, si bea del suo ritmo e percorre le sue sotto-trame senza perdere un colpo. In tal senso la storia di Paul e della sua famiglia si caratterizzano per una particolare densità esistenziale, come se ciascun personaggio fosse colto nell’atto di avanzare nel suo personale percorso di formazione.
Al lavoro sulle singole interiorità si associa poi l’azione, con spettacolari scene di battaglie interstellari e combattimenti corpo a corpo che agli spettatori più attenti riporteranno alla memoria le atmosfere di Star Wars.
Nonostante l’operazione condotta con Dune si possa senza dubbio inscrivere tra le poche visioni esteticamente immersive del cinema di oggi, è proprio questa sovrabbondanza tecnica a inficiare sulla capacità di intrattenimento del film: paradosso vuole, infatti, che a curare fino allo sfinimento il lato superficiale, quello più intimo ed esperienziale finisca per venire meno. Così ci si trova davanti a un’elegante messa in scena, portatrice di una visione a tratti strabordante, ma che mai arriva al cuore di chi è intento a guardare; nulla possono, su questo fronte, neanche gli ottimi nomi reclutati per il cast: da Timothée Chalamet a Rebecca Ferguson, passando per Oscar Isaac e Javier Bardem, ciascuno di loro è perfettamente in parte, eppure carente sul piano delle emozioni e nel coinvolgimento del pubblico.
Ad aumentare i gradi di separazione tra spettatore e racconto contribuisce poi, oltre a un’eccessiva solennità dei toni, anche una colonna sonora – firmata da Hans Zimmer – tra le più invasive e respingenti mai subite durante un’esperienza di visione. Eccellente sul piano del mestiere e visivamente rivoluzionario, al Dune di Villeneuve non manca quasi niente, eccetto quel cuore che avevamo intravisto tra le pieghe delle sue opere precedenti, e che speriamo possa riaffiorare in quelle a venire.
VOTO: 7