Elisa e Andrea, il cuore è in Africa Da 5 anni in Togo, “prima per un amico, poi per aiutare chi soffre. Il mal d’Africa? Sì, c’è”

Da 5 anni in vacanza in Togo. In un villaggio, ma non proprio con quell’accezione turistica cui siamo abituati. Per chi conosce Andrea Chesini dai tempi delle scuole medie, come me, sa che stiamo parlando di quello che si dice “un brao butel”. Sposato con Elisa, un lavoro come ingegnere industriale e la voglia di spendere il proprio tempo libero a favore di chi ne ha più bisogno:
“Nel 2016 mi chiama un mio amico chiedendomi di andare in Togo, perchè aveva bisogno di qualcuno che sapesse dare indicazioni per montare dei pannelli solari. E da lì è iniziato il tutto, il mio amico
alla fine si è ritirato e sono andato da solo”.
Africa occidentale, villaggio di Amakpape, per la precisione, nei pressi di Agbélouvé a circa 70 km dalla capitale Lomè. La missione “Cuori Grandi”, fondata da suor Patrizia, e dalle missionarie laiche Maristella e Federica, ha portato la vita dove prima non c’era nulla.
E Andrea ha deciso di seguirle: “Nel tempo sono state costruite una comunità, la casa per i volontari, un ambulatorio, i campi da gioco e 2 scuole con 600 alunni e 18 professori stipendiati. Il mio compito quando vado, è quello di coordinare un gruppo di lavoro, perché oltre a costruire, si creano competenze. Gente che viene dalle campagne e impara a fare l’elettricista, l’idraulico, il fabbro”.
E se l’esperienza inizialmente era partita in solitaria, nel tempo, il progetto si è sparso a macchia d’olio tra amici e conoscenti. Lo scorso luglio infatti sono partiti in 9 da
Lugagnano, in direzione Togo: “All’inizio pensavo di esser la pecora nera, che faceva le cose diverse. Poi ho scoperto che bastava farglielo conoscere, perché ci sono tante persone hanno voglia
di aiutare gli altri: gli anni scorsi abbiamo organizzato diverse feste in giardino da me, raccogliendo
fondi da destinare alla missione. Da un po’ di tempo si è unita anche l’associazione Il Dono di
Lugagnano a dar manforte al progetto, e quest’anno son venuti con me mia moglie, e anche Francesca, Zeno, Giovanni, Marta, Teresa, Diletta e Beatrice, dei ragazzi poco più che ventenni che hanno organizzato una sorta di doposcuola, in cui insegnavano inglese e spagnolo a quei bambini”.
Conclude Andrea: “Se esiste il mal d’Africa? Direi di sì, mi manca quella natura incontaminata e l’idea di aiutare concretamente quelle persone. Anche se le vedi sempre sorridenti, in realtà penso
sia il loro modo per sopportare i problemi”.

EffeErre