Elegante, efficace, potente: Amarone

“Un’edizione molto ricca”. “Una scelta vincente”. “L’uomo è un animale sociale e ha bisogno di incontrarsi, non sono sufficienti gli incontri online”. “Un pubblico di qualità, selezionato”.
Camminando per i corridoi tra gli stand, nei padiglioni della fiera, e confrontandosi con gli espositori, è questo il “sentiment” che si coglie. Estrema soddisfazione, quindi, per le opportunità offerte da questa edizione di Vinitaly, da parte delle aziende partecipanti. Portando il punto di vista dei visitatori, non possiamo che concordare e lodare l’organizzazione e l’accoglienza da parte degli espositori. Concludiamo questo viaggio attraverso la cultura vitivinicola italiana, con un ultimo capitolo in cui raccogliamo qualche tappa che ci ha particolarmente colpito nel corso dell’ultimo giorno.

Brigaldara. Siamo sintonizzati sulla “frequenza Amarone”, che è stato il fil rouge delle nostre degustazioni della giornata di ieri. Passiamo casualmente davanti allo stand di un’autorità dell’Amarone, Brigaldara, e si accende quindi il desiderio di fare tappa qui. Antonio Cesari di Brigaldara ci propone con cortesia e competenza, ben quattro etichette di Amarone. Ognuna di queste denota una forte identità e l’assaggio di ogni vino è in grado di raccontare con personalità il territorio da cui questo proviene. L’Amarone della Valpolicella DOCG Cavolo nasce da un’accurata scelta delle uve in vigneto e da una gestione dell’appassimento molto rigorosa. Le uve dedicate alla sua produzione sono le meglio esposte e le più spargole. Degustiamo poi l’Amarone della Valpolicella DOCG Classico che nasce da uve raccolte nei vigneti di Brigaldara, situati nel cuore dell’area Classica della Valpolicella, all’imbocco della vallata di Marano.
Il terzo è l’Amarone della Valpolicella DOCG Case Vecie, che prende il nome dall’omonimo vigneto situato nel comune di Grezzana, in Valpantena, un vero Amarone delle “Vigne Alte”.
Prima di congedarci, Antonio ci dona un ultimo assaggio, per cui siamo sinceramente grati: l’Amarone Riserva: “le uve da destinare alla sua produzione sono scelte dai migliori vigneti aziendali al fine di sintetizzare e cogliere la massima potenzialità dei nostri vigneti coltivati in Valpolicella”. Elegante, efficace e potente.

Taverna. Dopo il Barolo della prima giornata di Vinitaly ci era rimasta un’ulteriore curiosità piemontese: bere un buon Barbaresco. Al relativo padiglione, il 10, ci avviciniamo al banchetto dell’azienda Taverna di Neive, Cuneo. La tenuta di famiglia è stata fondata negli anni ‘30 dal nonno dell’attuale proprietario Roberto Taverna. L’azienda è stata tra le prime a imbottigliare i cru Barbaresco, come quello “Cascina Slizza”, già nel 1974 con il nome di Vina Versio, vedova del fondatore. La prima annata “ufficiale” dell’azienda è il 2016 e dal 2019, con l’ingresso di un nuovo enologo, Taverna Wines ha iniziato a vinificare la maggior parte delle uve prodotte in azienda.
Abbiamo assaggiato il buon Barbaresco “Ducrui”. Il nome è legato al fatto che le uve Nebbiolo provengono da “Gaia-Principe” e “Cottà”, due cru del comune di Neive. L’annata 2019 è da ricordare per il record storico delle temperature nei mesi di giugno e luglio.

Terrabianca. Prima di uscire dal padiglione dedicato al Piemonte, decidiamo di chiudere il cerchio di alcuni delle DOCG piemontesi più note, con un Moscato d’Asti. Siamo a Mango, nelle langhe albesi. “Non lontano dal centro storico, con l’elegante castello Barocco, fra borgate e vigneti, in località Terrabianca si trova l’omonima azienda vinicola”, spiega Andrea Alpiste, la cui famiglia da generazioni è impegnata nella conduzione dei vigneti dell’azienda Terrabianca, dai quali nascono vini particolari e di grande struttura. Abbiamo degustato un valido Vignot Moscato d’Asti DOCG.

Fondazione Villa Russiz. “Mille ragioni per scegliere l’eccellenza, più una” recita il claim di questa realtà, al cui stand abbiamo bevuto un ottimo DOC Collio Merlot. La storia di Villa Russiz è una storia di amore, non solo per la terra e i suoi frutti.
È la storia d’amore tra Elvine Ritter de Zahony e il conte Theodor de la Tour, che, nel 1868, come dono di matrimonio ricevono da Giulio Ritter de Záhony l’appezzamento terriero di Russiz, nel cuore del Collo Goriziano. I novelli sposi faranno fiorire quest’area, sia dal punto di vista agricolo che di progetti orientati al prossimo. Da un lato, Theodor, esperto perito agrario e viticoltore, sa cogliere le grandi potenzialità di questo territorio: elabora studi pioneristici, come l’introduzione di varietà di viti francesi. Dall’altro Elvine si dedica ad attività caritatevoli, e fonda a Russiz una scuola per i più poveri.

Cambria. Come raggiungere Messina, partendo da Gorizia, nel giro di qualche minuto? Attraversando un solo padiglione! “Si beva alla salute di un incontro che diverrà leggenda. A quello del Furnari, un umile contadino, e di un Re che bussando alla sua porta gli affidò il suo levriero ferito. Alla passione con cui se ne presa cura attendendo il suo ritorno, alla forza con cui non si arrese, a queste terre che gli vennero sonate per premiare la sua fedeltà”.

TiefenBrunner. Torniamo a nord e concludiamo questo Vinitaly con tre cantine di una delle aree geografiche che ci ha donato più emozioni: l’Alto Adige. Sabine e Christof sono la quinta generazione ad occuparsi della Tenuta Tiefenbrunner Castel Turmhof, di Cortaccia sulla Strada del Vino. È Anna ad accoglierci e a farci degustare un Turmhof Gewürztraminer Alto Adige DOC 2020 e un Turmhof Moscato Giallo Alto Adige DOC.

Colterenzio. “Per iniziare dobbiamo specificare che non siamo una cantina a conduzione familiare e non abbiamo neanche una lunga tradizione alle spalle… siamo una delle cantine più giovani dell’Alto Adige e alle nostre spalle non c’è solo una famiglia ma ben 300 che consegnano, autunno dopo autunno, preziose uve vendemmiate rigorosamente a mano”: l’azienda Colterenzio si racconta così.

Manincor. Salutiamo Vinitaly annunciando il vino che per noi meriterebbe la “medaglia d’oro”. Non è necessario spendere troppe parole per descriverlo, consigliamo solo di regalarvene un assaggio, almeno una volta nella vita: “Le Petit” 2018, dell’azienda Manincor di Caldaro. Proviene da uva Petit Manseng vendemmiata a metà febbraio. È più di un vino. Quasi come bere miele.

Stefania Tessari