La bomba A di Hiroshima conteneva una massa di uranio equivalente alle dimensioni di una mela e produsse un’esplosione della potenza di 20.000 tonnellate di tritolo. Dopo la prima bomba atomica sovietica (1949), gli USA (1952) e l’URSS (1953) giunsero alla costruzione della bomba H, che era 2.500 volte più potente della bomba A. L’inarrestabile corsa agli armamenti termonucleari delle due superpotenze mobilitò la comunità scientifica mondiale.
Albert Einstein e Bertrand Russell pubblicarono nel 1955 il Manifesto Einstein-Russell, sottoscritto da molti scienziati, con il quale si rivolgevano ai leader dei due poli, invitandoli a riflettere sulla novità assoluta dell’arma atomica. Scrivono: «Dobbiamo cominciare a pensare in una nuova maniera. Dobbiamo imparare a chiederci non che mosse intraprendere per offrire la vittoria militare al proprio gruppo preferito, perché non ci saranno poi ulteriori mosse di questo tipo; la domanda che dobbiamo farci è: che passi fare per prevenire uno scontro militare il cui risultato sarà inevitabilmente disastroso per entrambe le parti?».
Il potenziale distruttivo delle armi termonucleari costrinse gli Stati a mutare radicalmente i parametri su cui erano disegnate le strategie della guerra convenzionale, poiché ora dovevano fare i conti con un “antagonista terzo”, che infrangeva la logica della contrapposizione simmetrica tra due nemici: una eventuale deflagrazione atomica avrebbe inevitabilmente provocato la distruzione totale di entrambi i contendenti se non dell’intero pianeta. Si ricorse, quindi, alla deterrenza nucleare, che ha anche una componente di natura psicologica non secondaria: alimenta il terrore nell’avversario e lo induce, nel suo calcolo strategico, a non attaccare per le imprevedibili conseguenze e gli esiti inevitabilmente catastrofici per tutti.
Romeo Ferrari