Ritenuta già da Aristotele la migliore delle tragedie greche per la sua costruzione
drammatica, l’Edipo Re è in effetti tra le messinscene più di impatto partorite dai tragediografi classici. La tragedia avvince l’osservatore, grazie alla sua caratteristica fondamentale: l’Edipo di Sofocle è, infatti, tipicamente la tragedia dell’”ironia tragica”.
Lo spettatore, che conosce le vicende del mito e sa quale sarà lo sviluppo della trama, si trova in una condizione di vantaggio epistemico rispetto ai personaggi stessi; non solo, ma lo stesso protagonista, Edipo, è sempre colui che sa meno, che comprende dopo gli altri ciò che gli indizi che emergono nel corso della trama indicano.
Così la scoperta della sua identità – assassino del padre e marito della madre – avviene in un percorso di estrema sofferenza, in cui in un primo momento la verità incontrovertibile esplicitata in modo definitivo dall’indovino Tiresia, voce del dio Apollo, non viene inizialmente creduta, in quanto Edipo pensa che sia frutto di un complotto per destituirlo.
In seguito, le testimonianze degli altri personaggi che condividono con Edipo la scena, spesso con lo scopo di confutare le possibili prove e quindi essere di conforto al protagonista, finiscono al contrario per insinuare ulteriori dubbi che porteranno alla presa di coscienza definitiva.
Ma la cosa più terribile è che l’investigazione, condotta nel modo più razionale possibile, non è voluta da altri che Edipo stesso, già salvatore di Tebe, che anche in questo caso vuole estinguere l’ira del dio liberando i cittadini dalla peste. L’oracolo è chiaro: Apollo vuole la vendetta per l’uccisore di Laio. L’impegno di Edipo nella ricerca del colpevole è totale, ma in realtà finirà per essere una ricerca di se stesso, a partire dal pastore che gli ha salvato la vita da neonato invece di ucciderlo; proprio nella disperata fuga dalla profezia che lo insegue – che avrebbe ucciso il padre e si sarebbe unito alla madre – Edipo, senza rendersene conto, finisce per andarvi incontro, secondo la volontà insondabile del dio.
Fare giustizia dell’assassino diventa fare giustizia di se stesso, in un processo dolorosissimo al termine del quale Edipo si accecherà, non volendo più vedere la luce e la realtà orrenda di crimini in cui è immerso. Perseguitato da una sorte crudele ma al tempo stesso eroe della lucidità e del raziocinio, Edipo non rinuncia mai alla sua tragica ricerca, nemmeno quando gli viene detto che è meglio per lui “non sapere”.
Alla fine scarnificato, privato della vista e dell’onore, si incammina cieco accompagnato solo dalla figlia Antigone; ma saranno gli dei a elevarlo a un destino sovra-umano, quale Edipo è.
EffeEmme