Ecco The mystery of Marilyn Monroe A quasi 60 anni dalla morte, un lavoro che rende ancora più inquietante la sua fine

Nella notte tra il 4 e il 5 agosto prossimi saranno trascorsi 60 anni dalla morte di Marilyn Monroe.
C’è una foto della polizia, scattata al momento della scoperta del corpo, che vede la donna più
celebre del 20º secolo a pancia in giù, il volto sul cuscino, i capelli e le lenzuola scompigliate a
fianco a un comodino affollato di oggetti. Aveva 36 anni e viveva nella sua casa a Brentwood, nella scintillante Los Angeles, con la sua governante come unico rimedio a un’esistenza fatta di tormenti
e solitudine.
Ancor più che della sua già leggendaria vita, della morte della diva che più di tutte ha fatto la storia del cinema americano si parla da quella maledetta notte, alimentando l’enorme buco nero di interrogativi sulle reali cause del decesso con ipotesi e congetture per lo più poco credibili o impossibili da corroborare. Sarà stato dunque il fascino che continua ad aleggiare intorno a questo indecifrabile mistero ad aver dato adito al clamore creatosi attorno a The Mystery of Marilyn Monroe: The Unheard Tapes, documentario prodotto in casa Netflix che segue le tracce di Anthony
Summers, giornalista investigativo che dal 1985 al 1988 ha dedicato la sua intera vita professionale alle ricerche sulla morte della diva, intervistando un totale di 650 persone tra addetti ai lavori, parenti, conoscenti e amici stretti della donna.
Questo coro di voci rivelatrici nel 1987 si era poi trasformato in un’accuratissima biografia dal
titolo Goddess: The secret lives of Marilyn Monroe; 35 anni dopo quelle stesse voci nella loro versione integrale e inedita hanno trovato una poetica visiva proprio nel racconto condotto dalla regista Emma Cooper, che col supporto delle cassette registrate e la partecipazione dello stesso Summers ha realizzato un’opera a metà tra podcast e documentario, mescolando i due mondi e raggiungendo risultati forse più interessanti sul piano della sperimentazione dei linguaggi che su quello strettamente investigativo.
Già documentarista e regista di reportage per la tv, per il racconto in vita e morte della Monroe la Cooper realizza una messa in scena molto incisiva e mirata a ricreare un’atmosfera immersiva: le vere voci dei nastri registrati diventano infatti il copione per degli attori che, pienamente calati in
quegli anni Ottanta in cui la vera investigazione era stata condotta, interpretano le parti delle reali persone intervistate da Summers. Il pubblico si troverà quindi catapultato nei caldi ambienti
dell’epoca e verrà investito da quell’ansia di scoperta che durante quegli anni febbrili aveva
animato la ricerca: con la stessa ossessione del cronista, anche noi ci trasformiamo in investigatori a tempo, determinati a unire tutti i punti per cercare di crearci la nostra personale versione dei fatti. E poco importa se ogni tanto questa dinamica può risultare ridondante, o se quasi nulla di nuovo si scopre sulla morte dell’attrice: l’apparato è stato messo in moto e cammina per la sua strada, la voce, le foto e i video di repertorio che catturano anche solo per un istante la Monroe e
il suo fascino immortale fanno il resto.

VOTO 7