Ci sono momenti che scandiscono il tempo. Il nostro tempo. E sarà inevitabile che questo momento scandisca il tempo di ciascuno di noi. Vorrei poter affermare che questo virus sia un segnale, un messaggio, ma non oserò farlo: risalterebbe un’altra, l’ennesima, tra le mie contraddizioni di cui vado così fiera. Una contraddizione è segno d’ingenuità, indecisione, e mi chiedo costantemente se sia possibile vedere, cogliere la coerenza tra le contraddizioni. Io credo sia possibile. Non so se sia follia o genialità, ma è incredibile vedere quanto spesso questi due tratti coincidano.
Non posso affermare che cosa sia questo virus, perché ha le potenzialità per convertirsi nella nostra salvezza, così come nella consapevolezza della nostra distruzione. Ora, continua ad essere un virus, con tutto ciò che comporta. Ed ogni contraddizione sta emergendo agli occhi di tutti, sebbene non tutti gli occhi vedano allo stesso modo. Abbiamo un nemico comune, ma potrebbe non bastare. Abbiamo il risveglio della natura davanti ai nostri occhi, ma potrebbe non bastare, non se rimaniamo stupefatti, ammaliati di fronte ad esso, con un sorriso inconsapevole stampato sul volto, che non tiene conto del fatto che tutto questo sta avvenendo in nostra assenza.
Questo sì: questo è un segnale, e mi preparo ad un’interpretazione errata, senza smettere di sperare in una corretta. Sono consapevole di come la speranza possa essere distruttiva, passo dopo passo, maledicendola ogni volta di più, ma non riuscendo a farne a meno. Fino al momento in cui non la si vede più. È in quel momento che tocchiamo il fondo, ma il problema maggiore non è toccare il fondo. Nel momento in cui lo tocchiamo, non ne siamo consapevoli. Non sappiamo se ci sia qualche cosa più in basso e questo ci basta per non darci la spinta necessaria per riemergere. Non sappiamo se sotto di noi troveremo sabbia o altra acqua, e questo ci basta per rimanere nell’ignoto e non assumerci il rischio, perché non vogliamo sapere che cosa accadrebbe se ci fosse altra acqua. Questo è il problema maggiore.
Quindi ecco: la speranza, se disattesa, si trasforma in disillusione, in un amaro ricordo che ci prende per mano e ci accompagna in basso. Ma, per quanto raro sia, penso che, se fatta realtà, una speranza valga molte illusioni. Non potremo mai smettere di sperare. Anche se la realtà di questo periodo è qualche cosa di indefinito, surreale, struggente, gli occhi di gran parte di noi tentano di plasmare la propria visuale, perché quello che si vede è complicato da accettare senza deformazioni. Anche i più cinici tra noi non possono evitare la speranza.
Molto di ciò che reputavamo necessario non è più qui e questo non può che portarci a chiederci che cosa sia realmente necessario. Vogliamo tornare alla nostra quotidianità, che così spesso non sopportiamo, che così spesso non sopportavamo. Ci sommergiamo d’impegni, nel vano tentativo di rimandare la guerra con noi stessi, ma ora non abbiamo scuse. Ci sommergiamo d’impegni, nel vano tentativo di riuscire ad evitare di guardare quell’ombra che ci segue costantemente, ma ora più che mai la vediamo. Perché un’ombra scompaia, bisogna spegnere la luce.
Ma chi di noi non ha paura di farlo per il solo pensiero di non riuscire, poi, a ritrovare l’interruttore? Ho creduto di essere invulnerabile. I motivi per cui l’ho creduto mi hanno fatto credere di aver visto abbastanza per poter riuscire a superare ogni prova. Non è piacevole rendersi conto di aver fatto un enorme errore, credendolo. Ora, sento le mie convinzioni sgretolarsi in me. Anche se sgretolate, tutti i loro pezzi rimarranno in me. Forse non è così che funziona, forse siamo fatti per condividerci. Forse. Ho spento la luce ed ho paura, di nuovo. Ne accenderò una nuova, nonostante tutto. Nonostante tutto l’altro male che non esita e non esiterà ad entrare in scena. La vita è un susseguirsi di luci interrotto da zone buie. Qualcuno dirà che è un oscuro percorso interrotto da lumicini. Ma che valore avrebbe, la luce, senza il buio?
Quindi ecco che cos’è questo virus: buio. Buio, intento a dirci che la luce che verrà non potrà essere la stessa che brillava prima del suo arrivo. Non parlo di numeri, statistiche o di tutto ciò che possiamo ascoltare in un qualsiasi notiziario: ho voluto andare oltre, parlare di tutto ciò che è celato in noi. Queste parole, sono soltanto parole. Lo dicono in tanti: io no, nonostante la mia costante insoddisfazione che una parola non riuscirà mai a colmare. Perciò ecco, questo è il mio virus: una continua riflessione in cui spero di non esser l’unica a riflettersi. Questo è il mio virus, e mi porta a dire ciò che non avrei mai pensato di poter dire. Adriano Piattoni dice: “L’ignorante è incapace di sognare e sperare, poiché è privo di illusioni.” Probabilmente domani la mia realtà prenderà una forma differente, che non permette frasi di questo tipo, ma, per ora, è oggi. Perciò speriamo, perché non si vedono ragioni per non farlo.
Arianna Chadima
Arianna Chadima ha 15 anni, non è (ancora) una giornalista nè una scrittrice. Frequenta la prima liceo al galilei (scienze applicate) e ha svolto così un tema che l’insegnante le aveva assegnato, sul momento che stiamo vivendo.
Arianna ha scavato nel profondo, è andata ben oltre quello che le si poteva chiedere, pescando riflessioni così forti e così intense che meritavano di finire sulle pagine di un giornale.
Il testo è lungo, ma non l’abbiamo toccato perchè sarebbe stato un peccato tohgliere anche una sola parola, un solo attimo al pensiero di Arianna.
Che non è ancora una giornalista, nè una scrittrice, ma che lo diventerà senz’altro. In bocca al lupo.