“Prendiamo Bierhoff”. Giovanni Sartori cercava un attaccante che sostituisse Corradi, ma non solo. Cercava un nome, qualcuno che facesse decollare il mondo-Chievo, verso orizzonti sconosciuti. “Prendiamo Bierhoff”. Il cannoniere tedesco aveva giocato nel Monaco, non una grandissima stagione. Non era più l’implacabile cannoniere di qualche anno prima, ma aveva classe, carisma, personalità per diventare un simbolo del Chievo.
Gigi Delneri ci mise un attimo a capire. “Non è Corradi, ma è Bierhoff”. Gli costruì attorno quello che serviva. Al resto pensò Oliver. Intelligente come pochi, capì che l’aria di Veronello era l’ideale per chiudere alla grande la sua splendida carriera.
E si regalò ancora giornate memorabili. Segnò al Milan, il gol dell’ex. Ne fece tre, addirittura, alla Juve, l’ultima partita, buona per arrivare a quota 7.
Poi, salì sull’aereo per Sendai, Giappone. Tournèe di fine anno, perchè il Chievo, allora, era un marchio da esportare. E Bierhoff un fuoriclasse da ammirare. Fu un trionfo per lui e per il Chievo. Centinaia di tifosi all’aeroporto, con gli album di figurine aperti per gli autografi. E poi lo stadio, l’amichevole col Vegalta Sendai, in un clima di festa. E al termine, ecco Oliver Bierhoff chiamato a gran voce dal pubblico. Fece due giri di campo, Bierhoff. Due giri firmando autografi, su foglietti, maglie, sciarpe, cappellini. Due giri con la gente impazzita per lui. Una straordinaria dimostrazione d’affetto, che finì per commuovere anche il “glaciale” campione tedesco. Era la fine di una lunga avventura, non poteva essere migliore. Una sera indimenticabile per lui. E per il Chievo. Indimenticabile per sempre.