«Ci vuole passione, certo, ma anche una gran dose di fortuna!» afferma Benedetta De Beni, ventitreenne di Bardolino che si sta facendo strada a testa alta nell’arena della settima arte dopo l’esordio nel docufilm I luoghi della speranza di Enzo Dino (disponibile in streaming su Chili e Amazon Prime Video). Con alle spalle una laurea in cinematografia e un diploma in recitazione, Benedetta si prepara per il trasferimento a Roma e, intanto, continua a fare progetti.
Hai deciso di consacrare studi e vita al cinema: dev’essere un grande amore!
Lo è, ma non è stato un colpo di fulmine. Con il tempo ho cominciato a guardare sempre più film e a cercare di andare oltre lo schermo, informandomi e analizzando quello che vedevo. Sono sempre andata al cinema, ma è stato grazie al teatro se mi sono avvicinata alla recitazione.
Ne I luoghi della speranza interpreti Adele, una giovane paziente oncologica. Come sei arrivata sul set?
Un paio di anni fa ho diretto e recitato in uno spettacolo contro la violenza sulle donne. In sala era presente Lucia Di Gruttola (poi aiuto regista di Dino), che dopo lo spettacolo mi ha contattata e mi ha proposto un provino… e nonostante i tempi lunghi causa covid, qualche mese dopo mi sono ritrovata sul set.
Il tuo personaggio, proprio come te, vive a Bardolino. Pensi che questo ti abbia aiutato ad impersonarla?
Sicuramente. Sono arrivata sul set agitatissima, ma con l’enorme vantaggio di conoscere ogni angolo in cui abbiamo girato. Per me il lago è casa, proprio come lo è per Adele.
Com’è stato passare dal palcoscenico al set cinematografico?
All’inizio è stato uno shock, ma è stato anche molto interessante. Sono due mondi completamente diversi, e non mi riferisco solo alla recitazione o alle modalità di lavoro. Ad essere diversi soprattutto i legami: in teatro ci conosce gradualmente durante le prove, sul set è tutto veloce, bisogna essere sempre pronti ad entrare in sintonia con l’altro, anche se non ci si conosce.
C’è qualcosa che ti piace di più del cinema rispetto al teatro?
Il cinema è più intimo, questo permette agli attori di giocare con i dettagli e cercare la propria strada nelle più piccole espressioni. In accademia di recitazione ci ripetevano sempre che non si può scappare dalla telecamera, perché cattura tutto. Io invece cerco sempre di nascondere qualcosa, di tenere qualche emozione per me.
Ti piacerebbe anche lavorare dietro la telecamera?
Ho sempre amato scrivere, e di recente mi sono dedicata alla sceneggiatura, ma vorrei anche dirigere. All’università ho avuto l’occasione di dirigere dei corti, e durante il secondo lockdown ho affiancato Enzo Dino nella creazione di Buon viaggio mia cara partita IVA, un documentario sui lavoratori che sono stati colpiti dalla pandemia. È stata un’esperienza meravigliosa, è stato proiettato fuori concorso al Festival del Cinema di Bardolino.
Hai un sogno nel cassetto?
Vorrei raccontare una storia tutta mia. Vado avanti a piccoli passi: per ora penso agli studi e a farmi venire qualche idea, perché quello che più mi interessa è continuare a raccontare delle storie.
Martina Bazzanella