Un’occhiata alle formazioni, “…datemi un foglietto…”. Ed eccolo lì, a controllare. “No li conosso ben”, avrebbe detto. Però ha letto le formazioni, come faceva una volta. Con l’emozione del tifoso, più che con l’ansia del tecnico. Osvaldo al Bentegodi, sempre un piacere vederlo, come succede con gli amici. Quelli veri, quelli che porti nel cuore e anche se non li vedi per un po’, il discorso ricomincia dal punto stesso in cui ti eri lasciato. L’Osvaldo è così, il Bentegodi è casa sua, l’Hellas è roba sua. “Vado – spiega sempre – a volte con mia moglie. Il presidente Setti è così gentile, mi fa avere sempre la tessera…”.
Umile, in punta di piedi, come sempre nella sua vita. Come se quella tessera che la società gli fa avere non fosse un po’, una sorta di grazie eterno, lunghissimo, infinito. Per quello che lui ha fatto vivere a una città.
Eccolo lì, il solito berretto “alla Bagnoli” e chissà perchè nessuno ha mai pensato di brevettarlo. Ne avrebbe venduti a migliaia. Lo metteva quarant’anni fa, lo mette ancora. Il montgomery nocciola, in tinta col berretto. La mascherina, ovvio, perchè la signora Rosanna glielo raccomanda sempre. Sono insieme da quando giocava nell’Hellas, fine anni ’50, c’era arrivato dal Milan, ragazzo di belle speranze. Deve averla conquistata con i suoi silenzi, “…perchè no son mai stato uno di tante parole”, ha sempre detto. “E non ero quello che le ragazze guardano al primo colpo” aggiunse un giorno raccontando di quando (qualche volta) andava in discoteca assieme ai compagni di squadra. L’Eros Fassetta, il Sante Begali, “…loro erano più carini di me…”..
Eccolo lì, l’Osvaldo. A casa sua.. Semplice, sempre uguale a se stesso, anche adesso che gli anni son passati e son diventati 85. Sì, 85, porca miseria, maledetto il tempo che passa, impietoso. Che fa invecchiare i ricordi, ogni tanto li confonde, li intreccia, “…no me ricordo” dice spesso l’Osvaldo. Vicino a lui, c’è Giancarlo Savoia., che del Verona, è stato capitano, bandiera. Anche lui, sempre lì, sentinella silenziosa, come una volta, quando dirigeva il traffico là dietro, primo libero moderno di un calcio antico. Indimenticabile, anche perchè l’hanno giocato loro. Uomini veri, prima che campioni. No, questa rubrica non è “Una foto, una storia”. La rubrica è “Un foto, la storia” .
Raffaele Tomelleri