“La Lazio è la mia squadra del cuore, quella della città dove sono nato. A Verona, invece, il cuore
l’ho lasciato”. Questa dichiarazione d’amore per i colori biancocelesti e gialloblù è di Ernesto Calisti, che con le due maglie ha messo insieme oltre 150 gettoni tra A e B. Nella Capitale ha realizzato il sogno di ogni calciatore di giocare per la squadra di cui è tifoso mentre in riva all’Adige ha trovato l’ambiente giusto per esprimersi al meglio, tanto da meritarsi il famoso coro: “Noi vogliamo Calisti in Nazional”.
«Il Verona ha fatto un ottimo campionato – commenta l’ex terzino gialloblù – mettendo in mostra tanti buoni giocatori come Baràk, Tamèze e Casale. Credo che riguardando alcune partite ai gialloblù manchi senza dubbio qualche punto. La
Lazio, invece, non ha avuto un grande inizio riuscendo, tuttavia, a riprendersi nel girone di ritorno.
L’arrivo di Maurizio Sarri ha richiesto tempo in quanto si trattava di assimilare nuovi schemi e
nuove idee di gioco. Grazie a un positivo girone di ritorno è arrivato l’obiettivo minimo della qualificazione in Europa League. Il prossimo anno sarà necessario rinforzare la difesa, vittima quest’anno di tanti errori individuali. Con lo stadio pieno a fare da cornice – è il suo pensiero finale – mi auguro si possa assistere a una bella partita».
Con le maglie di Lazio e Verona, Calisti ha vissuto stagioni intense. A Roma, sotto la guida di Eugenio Fascetti – che poi ritroverà anche in gialloblù – fece parte di quella squadra che si salvò dalla retrocessione in C partendo da un handicap iniziale di meno 9 punti. A Verona, invece, ci fu la sfortunata retrocessione all’ultima giornata con il Cesena, al termine di una lunga rincorsa, seguita dalla pronta risalita in A con alle spalle una società fallita. «Quella del meno nove fu una stagione incredibile – ricorda – anche se la vissi un po’ da fuori per un brutto infortunio mentre quelli
di Verona, furono nel bene e nel male due campionati dove dimostrammo di essere uomini prima che giocatori. Nel primo, con una rosa interamente rinnovata lottammo fino all’ultima giornata mentre l’anno dopo, facemmo gruppo nonostante una situazione societaria complicata. In entrambe le situazioni mostrammo un grande attaccamento alla maglia».
L’ultima riflessione è per Bagnoli e Fascetti: «Sono stati per me i due allenatori più importanti della mia carriera. Ho avuto altri tecnici come Eriksson, Simoni e Reja ma a loro due sono rimasto particolarmente legato. Bagnoli, oltretutto, è stato per me quasi un padre. Erano di poche parole ma due belle persone. Soprattutto erano due uomini veri che nel calcio di oggi, troppo preso a guardare altre cose, farebbero quasi fatica a stare».
Enrico Brigi