Alexander Dubcek, neosegretario del partito comunista cecoslovacco, diede inizio al “nuovo corso” del “socialismo dal volto umano” che, senza tradire i fondamenti della dottrina marxista, doveva aprirsi ai valori delle libertà attraverso un programma di riforme.
All’inizio del 1967 la Cecoslovacchia era ancora una delle democrazie popolari più rigorosamente fedeli alla linea sovietica.
Dopo la violenta crisi economica del 1963, le deboli riforme del 1965 si rivelarono largamente insoddisfacenti, lasciando l’economia in uno stato di grandi difficoltà. La pianificazione troppo centralizzata e orientata a rispondere agli interessi degli altri paesi socialisti non riusciva a fare fronte ai bisogni dei cecoslovacchi.
A un generale sentimento di insofferenza si accompagnò in quell’anno un fermento di idee “liberali” fra i circoli intellettuali, che era condiviso e alimentato anche da alcuni membri della Direzione del Partito Comunista Cecoslovacco. All’inizio del 1968 il vecchio stalinista Antonin Novotny, presidente della Repubblica e segretario generale del PCC, fu costretto alle dimissioni e il 5 Gennaio venne eletto segretario del PCC Alexander Dubček, primo segretario del PC slovacco. Novotny fu costretto a lasciare il 21 Marzo anche la presidenza della Repubblica e fu sostituito da Ludvik Svoboda. Il neosegretario Dubček si fece promotore di un programma politico profondamente innovatore, attento alle istanze liberali della società senza tuttavia rinunciare ai principi dell’ortodossia marxiana. Il 6 Aprile 1968, nel discorso di presentazione del Programma d’azione, elaborato dal gruppo dei riformisti, egli affermò: “La nostra democrazia deve dare più ampio spazio all’attività creativa di ogni individuo, di ogni collettivo, di ogni istanza della direzione centrale, inferiore e superiore. I cittadini devono avere maggiore possibilità di riflettere ed esprimere le loro opinioni; […].
Bisogna fare sì che le persone incapaci, ma che si conformano a tutto, siano sostituite da chi ha a cuore il socialismo, il suo destino e il progresso, gli interessi e i bisogni degli altri e non già i poteri e i vantaggi personali”. I fondamentali punti del “nuovo corso” prevedevano: il ripristino della libertà politica e sindacale, la separazione tra partito e governo, l’abolizione della censura sui mezzi di comunicazione, la liberazione dei prigionieri politici, a trasformazione della Cecoslovacchia in Stato federale con piena parità fra cechi e slovacchi. Il Programma, che era stato approvato dal Comitato Centrale del PCC dopo
cinque giorni di discussione, consentì a Dubcek, forte dell’appoggio popolare e del mondo della cultura, di dare inizio alla Primavera di Praga con l’obiettivo di realizzare il “socialismo dal volto umano”.
Romeo Ferrari, docente di storia e filosofia