“Dott.ssa, rivoglio la mia vita….”. E’ una frase che sento ripetere sempre più spesso dalle persone che si siedono di fronte a me in studio. Affermazioni, dichiarazioni, quesiti e domande, che tendono a ruotare attorno allo stesso concetto: il sogno di poter tornare indietro. Solitamente il desiderio è legato al poter ritornare a un momento specifico della propria esistenza, particolarmente felice e sereno, che però viene generalizzato al concetto di vita propria, connotandola forse più positivamente di quello che oggettivamente può essere stata.
Cercare di riacciuffare quello che è stato e rendersi conto che, per quanto lo si desideri, non lo si può fare non è solo frustrante, ma rischia di divenire anche deprimente e insano. Non si può tornare alla vita pre-pandemia e pre-guerra, come non si può tornare ad avere 16anni, perché nel frattempo non è cambiato solo quello che ci circonda, ma anche noi non siamo più gli stessi. In questo biennio, un periodo qualitativamente durissimo ma quantitativamente breve, si è manifestato un cambiamento più ampio di quello che avviene in un passaggio generazionale.
La leggerezza che respiravamo, e forse davamo per scontata, è stata irrimediabilmente prima ferita e poi atterrita da eventi che mai avremo immaginato. Certe scene eravamo soliti vederle sul grande schermo, con tanto di pop-corn, non certo preparati a viverle. Siamo cambiati. Siamo diversi. Lo stacco da quel che era ed eravamo, a quel che è e che siamo è ampio e forte e forse non lo comprendiamo finchè non ci misuriamo nell’esperienza in tutte quelle piccole attività che un tempo erano consuetudini e che ora sono divenute occasioni. Non sappiamo quanto siamo cambiati finchè non ci scopriamo ad assaporare gioia e contentezza per qualcosa che prima nemmeno notavamo.
La frustrazione che leggo negli occhi e ascolto nelle frasi dei miei pazienti, e in cui talvolta mi ritrovo, è spesso data dal non accettare di essere in una nuova posizione, più scomoda indubbiamente. L’energia che sprechiamo nel cercare di fuggire da tutto questo, dovrebbe invece essere investita nel cercare di trovare spazio ed equilibrio, comunque e nonostante.
Non possiamo scappare dalla realtà, né tornare indietro nel tempo, né tanto meno fuggire in avanti. Dobbiamo stare nel qui e ora. Noi siamo il presente e se non lo accettiamo, rifiutiamo non sono la pandemia e le sue restrizioni, non solo la guerra che si affaccia sempre più minacciosa, ma anche noi stessi e il nostro tempo. Noi siamo questo, o meglio anche questo… Ora, in questo momento, non per sempre! Dobbiamo quindi imparare a camminare, il più comodi possibile, pur calzando scarpe strette.
Col tempo anche le calzature più rigide cederanno, i piedi si fortificheranno e la nostra marcia sarà più sicura. Guardare indietro, alle scarpe che indossavamo un tempo e che spesso rammentiamo come più confortevoli di quel che erano, o a quelle che potremmo avere domani, immaginandole alla stregua di pantofole, non ci aiuterà ma anzi ci farà sentire solo più insoddisfatti. Accettiamo il nostro tempo.
Sara Rosa, psicologa e psicoterapeuta