Una risata ci seppellirà tutti. Il genere umano si estinguerà a causa di un evento apocalittico, ma prima ne combinerà di tutti i colori, montando un teatrino tragi-comico nel quale politici, media e scienziati contribuiranno a falsificare una realtà minacciosa destinata ad ucciderci. Sembrerà uno scenario folle, a metà tra una barzelletta e il trailer di un film catastrofico, ma assistere allo spettacolo di demenza collettiva messo in scena da Adam McKay in Don’t Look Up significa innanzitutto scoprire che la risata – quella intelligente – è una cosa serissima, talmente seria da poter produrre un ghigno sul volto mentre nella mente e nel cuore si agitano il tumulto dell’angoscia e lo sconforto della disperazione.
LA TRAMA. A disperarsi è innanzitutto Kate Dibiasky (Jennifer Lawrence), collaboratrice del professor Randall Mindy (Leonardo Di Caprio) al dipartimento di astronomia dell’università del Michigan. Durante una sessione di ricerca, la studiosa scopre che un’enorme e velocissima cometa punta diretta al nostro sistema solare, con una probabilità d’impatto con la terra del 99,7%. Il risultato della collisione tra le due masse sarebbe la distruzione dell’umanità. Cosa fare se non avvisare istituzioni, comunità scientifica e popolazione del pericolo? Come fare poi se nessuno sembra prendere sul serio l’annuncio di una catastrofe planetaria?
FOLLI A SPASSO. Se con La grande scommessa aveva tradotto in lingua franca la crisi finanziaria del 2008 e in Vice – L’uomo nell’ombra aveva raccontato la macchiettistica personalità di Dick Cheney, con Don’t Look Up il regista statunitense aggiunge un tassello alla sua poetica di irriverente critica sociale all’occidente e trasforma il suo film in un atto politico, narrando la deriva idiota e isterica che l’umanità intera ha adottato come modus operandi quotidiano e normalizzato.
La narrazione parte dunque come un disaster movie, per poi assumere i caratteri di una vera satira apocalittica dove l’assurdo domina sul razionale: ne viene fuori la rappresentazione di un’umanità cinica e ripiegata su se stessa, non lontana da quella che ogni giorno da spettacolo sui social o nei format di opinionismo, nei quali il pensiero dominante è legge e nulla possono quei rari irregolari dalla mente pensante.
MERYL SUPER. Cate Blanchett presta così il suo volto a Brie Evantee, conduttrice matta e mattatrice di un talk show spazzatura dove il gossip è equiparato al disastro incombente, mentre una presidente degli Stati Uniti – una Meryl Streep grottesca ed eccezionale – è più preoccupata della sua poltrona che della salvaguardia del pianeta.
Tutto è riso, la scienza può aspettare e l’eco mediatica della notizia viene prima di tutto. In questa fiera della follia spicca la ricerca di uno spazio di libertà dei protagonisti, che sgomitano per farsi sentire e, tra piccoli e grandi inciampi, si rendono conto di quanto, più di ogni altra cosa, sia la dignità e il rispetto della propria umanità a contare davvero. Un’ultima, flebile, presa di coscienza prima della fine. Ci basterà quando la terribile ora del disastro arriverà anche per noi?
VOTO: 8,5