“La ballata dell’amore salato” di Roberto Perrone (2009, Mondadori)
Siamo a Genova, 1990. Domenica grigia di nuvole e sole. Domenica di derby Genoa-Sampdoria che Girolamo Moggia, genoano accanito, non può perdere. Nemmeno se il figlio da Milano ritarda.
Nemmeno se bisogna discutere di questioni urgenti, e quando una questione non lo è, perché Girolamo è appena rimasto vedovo. Vedovo di una donna che amava infinitamente e per la quale adesso nutre un infinito rancore. Il Genoa è l’unica passione che gli è rimasta. Tutto il suo amore, nato negli anni della guerra, maturato nel tempo, si è trasformato in odio.
Ma dove è finito il suo amore? Qualcosa ha scardinato le sue certezze, e adesso quest’uomo ruvido, deve farci i conti, senza poterne chiedere ragione all’unica che sarebbe in grado di spiegare.
Ma il tempo è un signore distratto e in un andirivieni di ricordi, Girolamo ripercorre una vita, la sua e un amore fortissimo, tanto forte che lui il nome della moglie, non lo riesce a dire più.
È spiazzamento continuo, cambio repentino di prospettiva perché nessuno può conoscere davvero nessuno e la lettura delle cose non può che essere sfumata.
Smettere di odiare la moglie vorrebbe dire ammettere che le persone possono non combaciare del tutto con l’idea che noi ne abbiamo e questo non ne fa degli impostori. Le rende intere e non soltanto idee. Quando questo nodo di dolore e odio comincerà a sciogliersi, Girolamo pronuncerà quel nome. Perché passerà anche questa stazione, passerà questa pioggia sottile come passa il dolore.
Giulia Tomelleri