Insufficienti i finanziamenti stanziati. Solo 250 milioni di euro all’anno. Serve un piano per affrontare il tema dell’invecchiamento
La salute è un diritto fondamentale sancito da diversi documenti internazionali e dalla nostra stessa Costituzione Italiana che lo configura come diritto universale. Celebrarne degnamente la giornata ad esso dedicata significa anche, come ha fatto il presidente Mattarella, individuarne i limiti e le prassi che lo rendono sempre meno universale e sempre più esclusivo.
Ad oggi anche in Veneto e a Verona ci sono persone che ogni giorno non riescono a trovare posto nelle 8 mila agende quotidianamente aperte. La rete di sportelli per il diritto alle cure, tenuta in piedi da volontari, riesce ad intercettare una parte non irrilevante della domanda non soddisfatta, ma in tanti a Verona rinunciano a curarsi perché non riescono a fissare un appuntamento e non possono affrontare la prospettiva di una visita a pagamento privata o semplicemente perché sono troppo anziani per raggiungere da soli il luogo di cura. Gli unici che possono fornire dati approfonditi sono le Ulss locali.
Sappiamo che sono tanti: quasi tre milioni e mezzo di famiglie e 4,5 milioni di individui a livello nazionale nel 2023, pari al 7,6% della popolazione, in crescita rispetto all’anno precedente che era al 7,0%. Quanti di questi sono veneti e veronesi, e che cosa dobbiamo e possiamo fare per loro? Questo quesito deve interrogare le istituzioni che hanno il dovere di valutare l’adeguatezza del sistema e chiedere i finanziamenti necessari ad adeguarne la capacità.
Perché i dati parlano chiaro: la spesa sanitaria sostenuta dalle famiglie continua a crescere: era il 20% del totale della spesa 10 anni fa, oggi è quasi al 30%: 41 miliardi di euro nel 2021; 43 nel 2023; 47 nel 2028 secondo le stime della Corte dei Conti, pari al 2% del Pil. Un mercato gigantesco che se il pubblico non riesce a regolare, darà a vita a incontrollabili disuguaglianze.
Allo stesso tempo, assistiamo alla situazione drammatica di molte persone non autosufficienti. Le liste di attesa per essere ricoverati in una casa di riposo dovrebbe gridare alla coscienza di tutti noi: in Italia ci sono circa 4 milioni di persone sono non autosufficienti, ma solo una piccola parte di loro, meno dell’1% (circa 24.000), potrà beneficiare della nuova impropriamente detta Prestazione Universale, avviata il 1° gennaio 2025.
Questo sistema non funziona come dovrebbe. I finanziamenti stanziati sono insufficienti (solo 250 milioni di euro all’anno), e i criteri per l’accesso sono troppo restrittivi. La non autosufficienza è un dramma dentro le disuguaglianze della sanità.
“Di fronte alla silente accettazione di questa innegabile tendenza da parte delle istituzioni, come Spi Cgil e come Cgil – dice il segretario generale Adriano Filice – riteniamo necessario una grande mobilitazione per invertire lo stato delle cose: occorre portare la spesa sanitaria pubblica almeno al 7-8% del PIL, in linea con la media Ue; riformare le liste d’attesa, con criteri di priorità basati sul bisogno clinico e sociale, evitando che l’accesso alle cure sia condizionato dal reddito; migliorare le condizioni lavorative del personale sanitario, con retribuzioni più competitive e assunzioni dirette e mirate e limitazione dei processi di esternalizzazione e privatizzazione; potenziare la sanità territoriale e la telemedicina per decogestionare gli ospedali e i pronto soccorsi. Non da ultimo, occorre un piano nazionale per affrontare il tema dell’invecchiamento della popolazione garantendo piani di cure individuali.
Più scuole, più sanità universale, più protezione sociale contro chi vuole alimentare le guerre e le armi.