Genere maschile e genere femminile. Una “differenza” che, al di là delle dissertazioni che spesso infiammano il dibattito antropologico-culturale dell’era post moderna, almeno sul piano biologico resta inequivocabile, e oggi più che mai interpella tanto il mondo della ricerca quanto della cura in senso stretto.
Nel nostro Paese un punto di svolta è stato sancito dalla Legge Legge 3/2018 che ha introdotto l’attenzione alle differenze di genere nelle pratiche sanitarie ma anche nella ricerca, prevenzione, diagnosi e cura», ma tanto resta ancora da fare. Se poi pensiamo che rispetto a un uomo la donna ha sì una aspettativa di vita superiore di quattro anni e mezzo, ma quel “bonus” accordatole in termini quantitativi ha poi una contropartita che si traduce in una vita “residua” fatta di malattie e disabilità in ben l’84% dei casi, premere sull’acceleratore diventa «un dovere scientifico, didattico, etico e, in Italia, legale».
Questo il messaggio emerso dal tavolo «Dalla medicina di genere alla medicina genere-specifica» organizzato dal Soroptimist International Club Verona guidato da Giovanna De Finis nell’ambito de “La città delle donne” (manifestazione dell’Assessorato Pari Opportunità) presso la Società Letteraria. Una sala gremita, dove sotto la conduzione di Annamaria Molino, Giovannella Baggio, presidente del Centro Studi Nazionale su Salute e Medicina di Genere, ha chiarito: «non si tratta di una branca, ma di un approccio trasversale della medicina, che studia l’influenza del sesso e del genere (quest’ultimo comprensivo delle variabili socio economiche e culturali, ndr) su fisiologia, fisiopatologia e patologia umana».
Gran parte degli studi a disposizione ha infatti descritto le malattie prevalentemente su casistiche di un solo sesso. E non per forza quello maschile, che ad esempio risulta ancora “orfano” dei valori di riferimento utili a una diagnosi di osteoporosi.
Di fattori di rischio ha parlato Luca Fabris, in particolare di alcool, fumo e farmaci. «Le donne sono maggiormente vulnerabili al danno da alcool – ha premesso l’associato di Gastroenterologia all’Università di Padova -, essenzialmente per motivi quali la diversa grandezza corporea, gli effetti ormonali, l’attività enzimatica. In particolare possono sviluppare forme più gravi di malattia neurologica». Analogo discorso vale per il fumo di sigaretta. «Il tumore al polmone è ormai la prima causa di mortalità oncologica anche nella donna, ancorché esso colpisca più frequentemente la popolazione femminile anche nelle non fumatrici (essenzialmente under 50, ndr)».
Chiamata in causa anche l’Intelligenza Artificiale. All’Università di Standford è nata una disciplina denominata Gender Innovations, «secondo cui le innovazioni che stiamo creando non sono neutrali, pertanto occorrerà portare massima attenzione nel cercare di portare il valore del genere anche all’interno di questi nuovi processi», ha concluso Antonella Viola, ordinaria di Patologia Generale a Scienze Biomediche presso l’ateneo patavino. Un cambio di passo volto a sdoganare gli stereotipi che ci hanno portato a interloquire con Alexa (nome femminile) per le faccende domestiche e con Watson (nome maschile) per i consigli finanziari.