Dieci anni da quel maledetto “inchino” Il naufragio della Concordia resta una delle gradi tragedie del mare: 32 le vittime

Il 13 Gennaio 2012 si consumava uno dei più gravi incidenti marittimi italiani. La nave Costa Concordia, salpata alle 19 dal porto di Civitavecchia in direzione Savona con 4.229 persone a bordo (3.216 passeggeri e 1.013 membri dell’equipaggio), alle ore 21:45 entrava in collisione con l’Isola del Giglio nelle acque dell’arcipelago toscano. Nell’ultimo tratto della crociera “Profumo d’agrumi”, della compagnia Costa Crociere, perdevano la vita 32 persone e altre 157 rimanevano ferite.
L’INCHINO MALEDETTO. Durante l’“inchino”, una tradizionale manovra di saluto verso chi osserva da terra, la nave comandata da Francesco Schettino eccedeva nell’avvicinarsi alla costa. L’urto apriva una falla di circa 70 metri sul lato sinistro della carena imbarcando acqua. “C’era gente che moriva dal freddo” raccontano i sopravvissuti: “Il personale ci diceva di tornare in cabina, ma era una trappola e corremmo verso l’esterno per scappare. Ci dicevano che era solo un guasto tecnico”. Un forte sbandamento, l’incaglio, la parziale sommersione della nave.
Impressionante la memoria di Luigi D’Eliso: “Alcuni davano in escandescenze. Al ristorante tiravano pugni contro gli arredi, le mani sanguinavano. Uno chiedeva: Come faccio a salvarmi? Come faccio a salvare i miei figli?”. Disarmante la risposta dei camerieri: “Non lo sappiamo nemmeno noi”. Rosanna Abbinante, di Bari, rimarca: “La gente batteva i pugni sui tavoli. Il padre di un bambino urlava. Non ho visto un ufficiale a tranquillizzarci”.
LA TRAGEDIA. Al panico del blackout si rispose con un problema tecnico sotto controllo e per circa un’ora i passeggeri attesero spiegazioni mentre le persone urlavano. Minuti infiniti. L’indicazione di indossare i giubbotti di salvataggio arrivò tre quarti d’ora dopo l’impatto, alle 22:33. Schettino, durante il processo, spiegò la dilatazione dei tempi con problemi di comunicazione.
IL TRADIMENTO DI SCHETTINO. Tuttavia non fu ultimo ad abbandonare l’imbarcazione come, invece, previsto dal codice di navigazione e fu tra i responsabili condannati per il naufragio. Terribili i racconti emersi al processo, in particolare i momenti del ribaltamento, quando i vani diventavano voragini e le persone cadevano nel buio. L’udienza è rimasta sospesa alcuni minuti per la commozione suscitata in aula dalla rievocazione della piccola Dayana Arlotti, 5 anni, la vittima più giovane, scivolata dalle mani del padre e oggi con lui in cielo. Non tanto una ricorrenza, quella di domani, ma un omaggio alle vittime di cui i dieci anni trascorsi non hanno cancellato il più vivo ricordo.

Pia Pisciotta