Un settore che vale 2 miliardi di fatturato, con oltre 120mila addetti diretti e indiretti, che nel 2020 registrerà un calo del fatturato stimato nell’ordine dell’80%. E questo senza avere alcuna prospettiva sul 2021.
È la drammatica situazione degli allestitori spontaneamente riunitisi nel gruppo social “Allestitori si Nasce”,
nato per dar voce alle aziende di questo particolare settore in un momento drammatico per tutto il Paese.
Le misure varate dal governo nel cosiddetto DL Rilancio sono insufficienti e, se non interverranno sostegni a fondo perduto, la maggior parte delle aziende non riaprirà più i battenti. Stiamo parlando di oltre 400 aziende, circa 250 delle quali iscritte all‘associazione di categoria ASAL – AssoAllestimenti, emanazione di FederLegno Arredo.
Tutti gli eventi fieristico‐congressuali dei prossimi mesi sono stati progressivamente rinviati e, in buona parte, successivamente soppressi per essere poi riprogrammati al prossimo anno (esempio ne è il Salone del Mobile che, inizialmente posticipato a Giugno, è poi definitivamente slittato all’edizione del 2021).
Le fiere, infatti, mobilitano a livello nazionale circa 200.000 espositori e oltre 20 milioni di visitatori. Tra l’altro, gli allestitori, con il loro mobilitarsi costante da una città all’altra e da regione a regione, contribuiscono fattivamente all’industria della ricettività alberghiera, della ristorazione e della mobilità su gomma.
“Ci occupiamo da sempre di progettazione e realizzazione di stand fieristici e, a nome dei tanti colleghi che in questi giorni si sono spontaneamente costituiti in un gruppo orgogliosamente e un po’ ironicamente chiamato “Allestitori si nasce” (al momento siamo più di 210 imprese, molte delle quali venete, ma le adesioni aumentano di ora in ora), in qualità di coordinatore, vorrei esprimere il desiderio di sentire finalmente una voce chiara e forte che parlasse degli “invisibili” allestitori.
Porto all’attenzione problema che una determinata categoria di lavoratori sta affrontando, e si troverà a dover affrontare per lungo tempo. Mi riferisco alla categoria degli “allestitori”, ovvero quei professionisti e quelle imprese, generalmente di piccole dimensioni, che progettano e realizzano le scenografie che prendono forma all’interno di fiere, congressi, mostre e, più in generale, negli eventi pubblici.
Ciò di cui vorrei parlare consiste in una attività artigianale multidisciplinare di antica tradizione, e molto spesso di eccellenza, che si pone al servizio della “comunicazione d’impresa” per rappresentare, attraverso la creazione di architetture temporanee, l’immagine dell’industria italiana che mette in mostra sé stessa attraverso gli eventi espositivi.
Dall’inizio della crisi sanitaria, tutti gli eventi fieristici e congressuali in programma nei prossimi mesi sono stati progressivamente soppressi o, nella migliore delle ipotesi, rinviati sine die.
Il fatto è che questa situazione ha provocato lo stop totale e a tempo indeterminato di un settore produttivo – quello degli allestitori – che in Italia dà lavoro a circa 400 imprese specializzate che occupano direttamente più di 5.000 persone e attivano un indotto di oltre 120.000, con un volume d’affari annuo stimato in circa 2 miliardi di Euro.
Queste imprese, che sono state le prime a fermarsi, hanno davanti a loro la prospettiva di un fatturato pari a zero ancora per diversi mesi; si stima ragionevolmente che l’attività non possa riprendere in modo significativo prima del 2021 – sempreché si confermino le ottimistiche previsioni sull’evoluzione della pandemia – e che il settore subirà nell’anno in corso un calo di fatturato non inferiore all’80%.
Insomma, siamo stati i primi a fermarci e, se anche “andrà tutto bene”, saremo comunque gli ultimi a ripartire.
È evidente che in tali circostanze, se non interverranno sostegni concreti e a fondo perduto, la maggior parte di queste imprese andrà incontro a morte certa.
Non basterà, infatti, un decreto per far ripartire dall’oggi al domani un’attività che, in buona sostanza, produce scenari atti a favorire assembramenti, né si può immaginare risolutiva la pur lauta concessione di risorse finanziarie a debito che – data la prospettiva temporale del fenomeno – finirebbe solo per spostare un po’ più avanti la certezza del fallimento”.