“Il caso del detenuto di Verona che rientrato dal permesso premio aveva nello stomaco ovuli contenenti hashish non è certamente il primo ma sicuramente indicativo del nuovo sistema adottato dalla criminalità per introdurre droga in carcere. Dopo i droni, dopo lo scambio con le visite dei parenti e persino il pallone di calcio imbottito di dosi, adesso si affermano i nuovi corrieri per garantire approvvigionamento e spaccio in grado di soddisfare la crescente richiesta”.
L’allarme parte dal segretario generale del sindacato Polizia Penitenziaria Aldo Di Giacomo per il quale “almeno 5 kg di droga al giorno si spaccia e si consuma nelle carceri di tutto il Paese con un giro di affari per decine di milioni d’euro l’anno”.
Dunque, le carceri italiane, al Nord come al Sud, da anni, sono diventate “piazze di spaccio” proprio come i quartieri Barone a Milano e Scampia a Napoli. È un giro che – afferma Di Giacomo – vede i familiari dei detenuti pagare direttamente i clan per la fornitura in cella di stupefacenti e l’alternarsi di pusher fuori e dentro le celle, grazie in particolare ai detenuti in permesso lavoro che fanno la spola o utilizzando i detenuti più deboli e ricattabili. Inoltre sono gli uomini dei clan che si servono di telefonini per il più comodo spaccio di droga dentro e fuori il carcere e per ordini agli uomini sui territori, a gestire i traffici. Così la detenzione del capo clan che dovrebbe rappresentare la fine della “carriera criminale” – aggiunge Di Giacomo – non solo si trasforma in continuazione ma cementifica i rapporti con detenuti e alimenta l’economia criminale necessaria specie per sostenere le famiglie dei detenuti. Sono cose – conclude Di Giacomo – che purtroppo ripetiamo da almeno 5 anni senza che accada nulla se non in occasione di operazioni come quella di Verona salvo a mostrare interesse mediatico che si limita ad un paio di giorni”.