Una maturità superata con il massimo dei voti e la scelta di iscriversi all’indirizzo di Sociologia all’Università degli Studi di Napoli Federico II. Giancarlo Siani inizia a collaborare con alcuni periodici napoletani sin da subito, mostrando particolare interesse per le problematiche dell’emarginazione, correlate alle fasce sociali più in difficoltà e alla criminalità organizzata. In collaborazione con altri giovani giornalisti fonda il Movimento Democratico per il Diritto all’Informazione, del quale si fa portavoce nei convegni nazionali sulla libertà di stampa e negli articoli sul mensile Il lavoro nel Sud. Ben presto arriva l’ingaggio con Il Mattino di Napoli, che gli chiede di occuparsi di cronaca nera e camorra: studia e analizza i rapporti tra le famiglie camorristiche che controllavano il comune e i territori limitrofi, e lo stesso fa sul periodico Osservatorio sulla Camorra.
La lotta contro la criminalità
Il suo sogno è diventare giornalista professionista, e ha le idee chiare su come raggiungerlo. Nel frattempo scopre nuovi intrecci tra politica e criminalità organizzata, tutti i boss locali e le attività illecite insabbiate, diventando in un anno corrispondente fisso, grazie ad inchieste dettagliate e puntuali. In uno dei suoi articoli, Siani accusa il clan Nuvoletta alleato dei Corleonesi di Totò Riina, e il clan Bardellino della Nuova Famiglia, di voler spodestare e vendere alla polizia il boss Valentino Gionta, divenuto scomodo. Una soffiata dei Nuvoletta ai carabinieri, per consolidare i rapporti pacifici con i Bardellino, a discapito proprio di Gionta. La pubblicazione dell’articolo disturba i fratelli Nuvoletta perché li dichiara traditori e senza onore; da questo momento Siani è in pericolo e non sa che si stanno decidendo le sue sorti. A ferragosto del 1985 i Nuvoletta decidono di eliminare il giornalista, che però dev’essere assassinato in luogo lontano dalla redazione per depistare le indagini. Siani nel frattempo lavora senza sosta per completare un libro sui rapporti tra politica e camorra negli appalti per la ricostruzione post-terremoto, imperterrito nella sua lotta contro l’illegalità. Sono le 20.30 del 23 settembre 1985 quando viene ucciso sotto casa sua, nel quartiere napoletano dell’Arenella, mentre era nella sua auto. Dieci colpi di pistola alla testa, e Siani è senza vita.
Il funerale
La chiesa del Buon Consiglio sulla collina del Vomero è gremita. Quando la bara esce dalla chiesa, un lungo applauso di oltre duemila persone. “Giancarlo Siani ha scritto l’ultimo articolo con il sangue. Intendeva il giornalismo come testimonianza civile e morale”, ha detto il vescovo Antonio Ambrosanio, vicario generale di Napoli. “Ma gli assassini hanno sbagliato perché da oggi noi tutti, anziani e giovani, vogliamo dimostrare di essere pronti a raccogliere l’eredità del giovane cronista nel tentativo di riaffermare il primato della fiducia nella vita sulla barbarie della morte”.
Le indagini e i processi
E’ emerso che il giornalista il giorno della sua morte aveva telefonato all’ex direttore dell’Osservatorio sulla Camorra, Amato Lamberti, chiedendogli un incontro per parlargli di cose che “è meglio dire a voce”. Che forse sapesse di essere in pericolo? Il 15 aprile 1997 sono condannati all’ergastolo i mandanti dell’omicidio (i fratelli Lorenzo, Angelo Nuvoletta e Luigi Baccante) e i suoi esecutori (Ciro Cappuccio e Armando Del Core). In quella stessa condanna appare come mandante anche il boss Valentino Gionta, anche se poi viene scagionato. Nel 2014 si riaprono le indagini grazie all’inchiesta apparsa sul libro del giornalista napoletano Roberto Paolo, che ha esposto i suoi dubbi sui reali esecutori dell’omicidio, E quel sogno infranto di diventare giornalista professionista? Siani non riuscì a raggiungerlo in vita, ma il titolo gli venne riconosciuto ad honorem, nel giorno del 35º anniversario dall’uccisione da paarte dell’Ordine dei giornalisti, che ha consegnato il tesserino ai suoi familiari, durante una cerimonia a Napoli.
Beatrice Castioni