Dentro la storia: gli eventi che hanno segnato un’epoca. Ore 16.37, un colpo al cuore d’Italia Il 12 dicembre 1969, una tremenda esplosione dentro la Banca di piazza Fontana

Milano, Banca nazionale dell’agricoltura di Piazza Fontana, venerdì 12 dicembre 1969, ore 16:37. Un’esplosione: ottantotto feriti, diciassette morti. L’inizio degli anni di piombo, del terrorismo, della “strategia della tensione” che porterà a una lunga sequenza di attentati, culminante in quello alla stazione di Bologna del 1980.
Nel pomeriggio di quel venerdì invernale del 1969 si stava tenendo il giorno del mercato alla Banca nazionale, che coinvolgeva contadini, allevatori, imprenditori, trecento dipendenti dell’istituto di credito. Ognuno di loro era impegnato: c’era chi sostava agli sportelli, chi andava alla ricerca dell’acquisto migliore, chi chiedeva informazioni, chi si fermava per salutare un conoscente.
Poi, di punto in bianco, un boato, urla, macerie, fogli che volano nell’aria, corpi che cadono. Un ordigno potente, potentissimo – più della dinamite – aveva fatto esplodere il salone centrale, distruggendolo e uccidendo istantaneamente quattordici persone. Altre due sono morte dopo qualche settimana e la diciassettesima dopo mesi, a causa delle lesioni subite. Sono stati ottantotto coloro i quali hanno riportato ferite fisiche, mentre un’intera città e una nazione sono state ferite nell’animo.
Alcuni si sono portati addosso il segno dell’attentato per tutta la vita, ad altri la vita stessa è stata strappata. Milano ha impiegato più di dieci anni per riprendersi dallo shock, per riuscire ad andare avanti.
E non è stata l’unica città ad essere attaccata: se a Milano è scoppiata la bomba di Piazza Fontana e un’altra è stata trovata inesplosa pochi minuti alla Banca Commerciale Italiana, altri tre ordigni hanno colpito vittime a Roma.
In 53 minuti, gli attentati in Italia sono stati cinque: i due milanesi e i tre romani, uno alla Banca del Lavoro, uno all’Altare della Patria e uno al Museo del Risorgimento, che ha fatto crollare il tetto dell’Ara Pacis. Nessuna di queste tre esplosioni nel Lazio ha portato a delle morti, ma i feriti e i danni sono stati numerosi. Danni concreti e danni allo spirito dell’intera Italia, che si sarebbero cicatrizzati più di dieci anni dopo.
Le indagini su questi eventi sono durate tanto, troppo. Le ricerche hanno preso il via a Roma, sono proseguite a Milano e si sono concluse a Catanzaro. All’inizio è stata seguita la “pista anarchica”, ma la concentrazione si è poi spostata su sospettati diversi, ovvero su un gruppo di neofascisti padovani appartenenti a Ordine Nuovo, che avrebbero ispirato la tragedia, coinvolgendo membri rilevanti dei servizi segreti.

Non esistono validi motivi o scopi o ragioni per uccidere uomini, distruggere vite, luoghi, speranza, alimentare il panico, la tensione, la paura. Eppure, i responsabili di queste atrocità avevano un obiettivo: volevano sfruttare il terrore per instaurare una politica autoritaria, per attuare un possibile colpo di stato. Nella relazione della Commissione Stragi si legge, infatti, di alcuni “accordi collusivi con apparati istituzionali”.
A questo riguardo, a gennaio del 1987 è stata emessa la sentenza di assoluzione degli imputati per insufficienza di prove, da parte delle Corte di Cassazione; poi, un secondo giudizio ha avuto esito negativo per l’accusa. Dalla metà degli anni Novanta al 2005 si è tenuto un altro processo, anch’esso concluso per l’insufficienza o la contraddittorietà delle prove, confermata dalla Corte di Cassazione. Sia questa sentenza che quelle di primo e di secondo grado hanno comprovato, però, la riferibilità dell’attentato di Piazza Fontana al sopracitato movimento veneto di Ordine Nuovo. Nello specifico, la Corte Suprema ha confermato il coinvolgimento di Franco Freda e Giovanni Ventura, due imputati non più processabili perché assolti in via definitiva precedentemente. Quindi tanti anni, tanti processi, eppure la difficoltà di porre la parola fine a un periodo così controverso non è stata superata, così come non risultano davvero chiari i nomi dei mandanti.
Spesso si cerca una ragione alla radice di una tragedia, qualcosa che plachi il senso di disorientamento che essa può suscitare. Ma non si trova. Dopo eventi del genere o in occasione di anniversari storici come quello che si tiene oggi, ci si chiede cosa fare: si ricorda, si riflette. Si impara, si cerca di aprire la mente, si capisce che esistono infiniti modi di sostenere la propria opinione che non implicano sangue versato. Si realizza che la violenza non è mai il linguaggio da adottare, si apprende come amare gli altri, nonostante le diversità che ci differenziano da loro. Si comprende il valore incommensurabile della vita.

Elettra Solignani