La parola decolonizzazione, coniata dalla storiografia novecentesca, è un termine che tradisce una lettura parziale del macroscopico evento storico, che modificò profondamente la mappa geopolitica del mondo, poiché rileva solo la fine degli imperi coloniali europei e non evidenzia in alcun modo il correlativo processo di formazione di molti nuovi Stati indipendenti in Africa e in Asia in larga parte inediti. Fu indubbiamente un fenomeno storico di portata epocale, che caratterizzò il Secondo Novecento: in trent’anni, dal 1945 al 1975, attraverso lotte, mobilitazioni di massa, proteste, scontri armati, azioni e accordi diplomatici popoli e nazioni si affrancarono dal dominio delle potenze coloniali, che in molti casi durava da secoli. Come accade come perqualsiasi evento storico, piccolo o grande che sia, le ragioni e i fattori che lo provocano sono sempre molteplici, eterogenei, talvolta contrastanti e non sempre individuabili o comprensibili. Limitando l’analisi delle cause al secondo Novecento, la prima ragione furono le crescenti difficoltà degli Stati europei nella gestione delle numerose ed eterogenee colonie, che gli sviluppi bellici della seconda guerra mondiale misero eloquentemente in evidenza. Basti osservare la facilità con cui il Giappone si impadronì di estesi territori asiatici soggetti alla dominazione britannica, francese e olandese, dove ebbe, peraltro, un ruolo non secondario la propaganda giapponese contro l’imperialismo occidentale, che diede un forte impulso ai movimenti di indipendenza. Nonostante la durezza dell’occupazione nipponica, fece breccia nel cuore di quelle popolazioni ilmotto “l’Asia agli asiatici”. Inoltre le centinaia di miglia di uomini provenienti dall’India, dall’Africa francese e da ogni parte del globo, una volta ritornati nelle loro terre, divennero un pubblico sensibile ai messaggi nazionalisti ed erano pronti a mobilitarsi per la conquista dell’indipendenza. Gli stessi Alleati occidentali avallarono le richieste di indipendenza dei popoli coloniali per ottenere da loro come contropartita un apporto in uomini e risorse a sostegno delle loro azioni di guerra. Non solo, ma la decisione fu indotta anche per contrastare le simpatie manifestate da taluni dei movimenti anti-coloniali per la Germania nazista o l’Italia fascista. Più volte i governanti occidentali ricordarono al mondo il principio dell’autodeterminazione: la Carta Atlantica (1941), firmata da Roosevelt e Churchill, dichiarava di rispettare “il diritto di tutti i popoli di scegliersi la forma di Governo sotto la quale intendono vivere”.
Romeo Ferrari, docente di storia e filosofia