Il 16 settembre 1970 scompare a Palermo – per mano di Cosa Nostra – il giornalista Mauro De Mauro, rapito, mai più avvistato, mai più trovato. Questo rapimento tanto dibattuto, questo caso irrisolto, la giustizia che non si è potuta compiere, danno forma a uno dei misteri grandi e terrificanti della storia italiana moderna da attribuire alla mafia, sulla quale il cosiddetto “giornalista scomodo” ha lungamente investigato e scritto prima del sequestro, tanto che il boss dei due mondi e collaboratore di giustizia, Tommaso Buscetta, lo definisce “un cadavedere che camminava” la cui “sentenza di morte era solo stata temporaneamente sospesa” davanti ai giudici Falcone e Borsellino, riferendosi a pubblicazioni di De Mauro di alcuni anni precedenti la scomparsa.
Mauro De Mauro, foggiano, arriva a Palermo dopo una gioventù turbolenta, controversa. In seguito a un arruolamento volontario allo scoppio della seconda guerra mondiale e alla maturazione di una grande fiducia nel Partito, De Mauro è vittima di un incidente grave che gli procura importanti lesioni fisiche. Anche questo accadimento della vita del giornalista è oggetto di dibattito: ufficialmente si è trattato di un infortunio in moto, ma alcune voci sostengono che si sia trattato di un pestaggio a opera di un gruppo di partigiani o, contrariamente, di fascisti, a causa di un tradimento.
All’incidente, prescindendo dalla sua causa, seguono l’arresto e la reclusione prima a Ghedi, poi nel Campo di concentramento di Coltano, dal quale De Mauro riesce misteriosamente ad evadere, seminando dicerie sul suo conto. Le incognite, nella vita del giornalista, sono briciole di pane che portano a ricostruire la sua età adulta e i suoi spostamenti in Italia: alla libertà conquistata, infatti, seguono anni di falsa identità, il processo per collaborazionismo con la sua condanna, e la sua seguente assoluzione per insufficienza di prove. È così, dopo il proscioglimento, che Mauro De Mauro arriva a Palermo e si scopre essere un competente cronista.
Proprio in questa competenza, in questa vocazione, si possono ritrovare i presunti moventi del suo sequestro. De Mauro è preciso, un reporter affamato, ricerca con scrupolosità, ha una grande fama, una grande reputazione. Si interessa alla vicenda Mattei, ne ripercorre le indagini ossessivamente, pubblica diversi articoli su Cosa Nostra, in particolare sul traffico di stupefacenti. Fino a quando, il 16 settembre del ‘70, pochi giorni prima del matrimonio della figlia, si accinge a rientrare con lei a casa: la figlia vede il padre parcheggiare l’auto e si avvia verso l’ascensore dell’edificio, aspettandolo. Non vedendolo arrivare, controlla in giardino e lo scorge risalire in macchina circondato da tre uomini. Sente uno di questi dire al padre “amunì”, andiamoin siciliano; il padre non si gira a guardarla, ed entra in auto. Questi sono gli ultimi istanti noti della vita di Mauro De Mauro, che molti hanno investigato, tentando di dare soluzione all’enigma – quasi tutti, poi cadendo per mano della mafia a loro volta. Carabinieri, altri giornalisti, collaboratori di giustizia: le confessioni, le scoperte, le spiegazioni sono tutte contrastanti e diverse tra loro, al punto che il caso De Mauro rimane un groviglio di articoli, personalità, e voci incomprensibile anche ai più esperti, nonostante il cinquantaduesimo anniversario dall’accadimento e gli altrettanti anni di ricerca a riguardo.
Della figura del giornalista scomodo, rimane un’eredità importante, che entra a far parte della memoria collettiva: tra tutte le componenti di questa, citiamo la fiducia cieca nella verità, il bisogno di conoscerla e condividerla, un’ambizione alla giustizia che non conosce confini, l’onore reso alla professione di giornalista, l’ispirazione e la speranza in una società più Giusta.
Elettra Solignani