Davide Rondoni, relatore per la conferenza Dante e Baudelaire, amore benedetto o maledetto, o forse no, ci regala un appassionante confronto tra la scrittura di due grandi poeti, con un’analisi sul loro – e sul nostro – modo di concepire l’amore. Per festeggiare il 700º della morte di Dante, Davide Rondoni e Lamberto Fabbri hanno poi recentemente presentato L’Orma di Dante, pregiatissima opera edita dal Cenacolo delle Arti che raccoglie dieci canti della Divina Commedia, selezionati dal poeta e affiancati dalle illustrazioni di Roberto Pavoni.
Scrivere per amore: l’amore inteso come scopo della scrittura, ma anche come sua causa efficiente. Quando scrivi vivi queste condizioni?
Non sta a me dirlo. Molti critici scrivono però che la mia è una poesia d’amore che include la causa e lo scopo. Quando a Dante chiedono nel Purgatorio «cos’è scrivere poesie?», lui risponde «I’mi son un che, quando Amor mi ispira, noto e […]». È la genesi stessa della poesia che ha a che fare con l’amore, che non è appena il sentimento provato per la prima Giuseppina o Fabiola, ma amore che muove il sole e l’altre stelle. Il poeta, se è autentico, ascolta una dettatura\dittatura che c’è nella realtà e che gli chiede di scrivere. L’arte e la poesia stessa sono infatti forme di obbedienza all’amore: cos’è l’ispirazione se non una chiamata amorosa che ti chiede di rispondere?
Tutto sembra dirci che la scrittura in versi appartiene al passato, a tempi lenti, inadeguati alla nostra velocità quotidiana. Perché, invece, poesia e realtà hanno ancora un legame forte?
Questa scissione tra poesia e vita è provocata dal modo in cui si insegna la letteratura. La poesia mette in ballo cose scomode: domande di senso, questioni serie. Per anestetizzarle tutte la scuola insegna non la letteratura, ma la storia della letteratura. È una scelta, una semplificazione comoda. L’uomo ha dentro qualcosa che lo porta verso questo atteggiamento, ma se il metodo scolastico lo asseconda, allora è un disastro; è un patto al ribasso, nessuno si ribella e verità e bellezza si perdono.
Nell’introduzione a L’ombra di Dante parli del legame che nel tempo hai stretto col sommo poeta. Qual è il “bene” che Dante ti ha dato e che può riservare ancora a noi?
Il primo è un bene di metodo. Dante ci ricorda che la vita è un viaggio con un senso e tu non sei una pallina da flipper, non vivi in balia del caso. Secondo: con la sua opera Dante ha mostrato che un trauma insopportabile, cioè la perdita del miracolo della vita, può diventare l’occasione per una conoscenza più profonda del miracolo stesso. Questo non toglie nulla alla fatica e al dolore, ma dà un’ipotesi positiva: il trauma non è da evitare, arrivare in fondo significa invece scoprire la verità di quell’esperienza. Noi siamo convinti che andando in fondo al massimo ci creiamo la nostra opinione. Su questo Dante è feroce, perché ci dice che guardando al fondo scopriamo qualcosa di vero non solo per noi, ma anche per tutti coloro che ci sono intorno.
Maria Letizia Cilea
Martina Bazzanella