“Crossroads” di Jonathan Franzen (2021, Einaudi. Traduzione dall’inglese di Silvia Pareschi)
Corre l’anno 1971 a New Prospect, Chicago. Sono i giorni dell’Avvento eppure la famiglia Hildebrandt, guidata dal padre di famiglia Russ, pastore della Chiesa locale, non sembra felice di festeggiare. Ognuno al contrario sembra rincorrere per sé una vita diversa, un nuovo amore, un’antica passione ritrovata o una qualche sostanza stupefacente che metta a tacere i propri demoni interiori. “Le parole hanno potere: pronunciandole si crea il sentimento.” dice uno dei personaggi di questa storia, crocevia di sensi di colpa, frustrazioni, sogni di essere l’opposto di ciò che si è.
Non a caso “Crossroads” è il titolo di questo romanzo di Jonathan Franzen e con questo stesso nome si definisce anche il gruppo giovanile della comunità di New Prospect, sotto la guida del Pastore Rick Ambrose, tanto odiato da Russ. Ed è in un crocevia di esperienze che si rivelano i conflitti interiori più drammatici di ognuno. Tra parole pronunciate, non dette, o rivelate nei momenti più sbagliati deflagrano i contrasti più aspri maturati all’interno della famiglia.
Il romanzo di Franzen, che qui ritorna magistralmente ad interpretare le crisi esistenziali e sociali della famiglia borghese americana, scandaglia le aspettative più o meno represse degli Hildebrandt e mette in luce i limiti di ognuno.
Un affresco familiare, sociale e al contempo individuale che non lascia al lettore una chiave di lettura univoca Ad ognuno dunque la libertà di trarne ciò che vuole, secondo il proprio sentire e la propria logica individuale.
G.Tom.