Con i trattati di pace di Parigi (10 Febbraio 1947), che riguardavano l’Europa a eccezione della Germania, l’Unione Sovietica recuperò i territori perduti nella prima guerra mondiale (stati Baltici, Ucraina, Bielorussia) e ottenne compensi territoriali da Finlandia, Cecoslovacchia e Romania.
Complessivamente Stalin uscì dalla conferenza di pace con 670.000 kmq di territorio in più rispetto ai confini del 1939. Churchill, nel discorso di Fulton (5 marzo 1946), descrisse con lucida consapevolezza quanto stava accadendo nell’Europa centrorientale: “Da Stettino nel Baltico a Trieste nell’Adriatico una cortina di ferro è scesa attraverso il continente. Dietro quella linea giacciono tutte le capitali dei vecchi stati dell’Europa Centrale e Orientale. Varsavia, Berlino, Praga, Vienna, Budapest, Belgrado, Bucarest e Sofia; tutte queste famose città e le popolazioni attorno a esse, giacciono in quella che devo chiamare sfera Sovietica, e sono tutte soggette, in un modo o nell’altro, non solo all’influenza Sovietica ma anche a un’altissima e in alcuni casi crescente forma di controllo da Mosca.”
Negli anni 1945-48 gli stati dell’Europa dell’Est si trasformarono in “democrazie popolari” secondo il modello sovietico e le principali azioni di conquista del potere politico da parte dei partiti comunisti locali seguirono percorsi molto simili.
I posti chiave nei “governi provvisori”, frutto delle elezioni postbelliche, furono sempre affidati, anche con l’aiuto delle truppe di occupazione sovietiche, a dirigenti comunisti rientrati dall’URSS dopo anni di esilio. Le maggioranze parlamentari “borghesi” erano via via messe a tacere o eliminate col terrore, la diffamazione e le accuse a esponenti politici. Si formavano quindi i partiti unificati, nati dalla fusione di comunisti e socialisti, i capi dell’opposizione venivano eliminati e si costituivano i governi di coalizione con i partiti “allineati”. Infine erano costituiti i governi comunisti dopo le elezioni indette con liste unitarie.
Alla conquista del potere politico, faceva seguito una serie di riforme strutturali: la nazionalizzazione delle banche e delle industrie, la progressiva collettivizzazione delle terre, il controllo dello stato dei principali commerci e l’imposizione di leggi e istituzioni analoghe a quelle presenti e operanti nell’URSS.
Al processo di sovietizzazione fece eccezione la Jugoslavia di Tito, che non rinunciò alla via nazionale al comunismo e interruppe le relazioni con Mosca nel 1948.
Romeo Ferrari