Nelle scorse settimane la Cardiologia dell’IRCCS di Negrar ha trattato i primi pazienti con un sistema non termico che migliora l’efficacia e la sicurezza degli interventi mini-invasivi per la cura della fibrillazione atriale, la patologia del ritmo del cuore più diffusa al mondo e uno dei maggiori fattori di rischio di ictus e scompenso cardiaco. La elettroporazione, o Pulsed Field Ablation (PFA), questo è il nome della nuova procedura, è in grado, attraverso campi elettrici pulsanti, di interrompere selettivamente il “cortocircuito” di una parte del tessuto cardiaco responsabile dell’aritmia, preservando nello stesso tempo il tessuto sano e le strutture anatomiche circostanti.
La fibrillazione atriale colpisce nel mondo 33 milioni di persone, di cui 800mila solo in Italia, e la sua incidenza è proporzionale all’aumentare dell’età. Diminuendo del 25% l’efficacia di pompa del cuore, i sintomi più frequenti sono stanchezza, affanno e mancanza di forze.
Il punto di svolta nel trattamento di questa aritmia è stata l’introduzione alcuni anni fa dell’ablazione transcatetere, una procedura mini-invasiva che prevede l’introduzione appunto di un catetere attraverso l’arteria femorale fino al raggiungimento della vene polmonari, punto d’innesco dell’aritmia.
“L’obiettivo è l’isolamento elettrico dell’area cardiaca interessata”, spiega il dottor Giulio Molon, direttore della Cardiologia del “Sacro Cuore Don Calabria”. “Ad oggi le due forme di energia più utilizzate per l’ablazione transcatetere sono la radiofrequenza e la crioablazione. Entrambe determinano la necrosi del tessuto malato, la prima attraverso il calore della corrente elettrica emanata dall’elettrodo del catetere, la seconda tramite il freddo. L’elettroporazione segna un ulteriore salto di qualità in termini di efficacia e di sicurezza, con una percentuale di complicanze procedurali inferiori all’1%. Infatti l’innovativo sistema porta alla morte delle cellule cardiache non per insulto termico, ma per la fuoriuscita del contenuto cellulare attraverso nanopori causati sulla membrana cellulare dal campo elettrico pulsante – sottolinea il cardiologo – La bassa soglia di energia con cui le cellule del miocardio raggiungono l’elettroporazione rispetto a quelle circostanti, abbassa il rischio di coinvolgimento dei tessuti sani adiacenti all’area interessata, a differenza di quanto accade, invece, nell’ablazione con radiofrequenza e della crioablazione”.
Inoltre la PFA richiede un catetere di dimensioni più ridotte rispetto al trattamento con il freddo quindi un accesso femorale più limitato, e, se confrontata con le precedenti ablazioni trascateterali, tempi procedurali minori che contribuiscono alla diminuzione del rischio di complicanze. Tuttavia anche l’elettroporazione richiede che l’intervento venga effettuato sotto anestesia e due giorni di ricovero ospedaliero.
“La possibilità di accedere ai sistemi per l’ablazione della fibrillazione atriale di ultima generazione, frutto di oltre 15 anni di meticolosa ricerca, ha un ruolo importante per medici e pazienti nella battaglia per sconfiggere la patologia. Per anni abbiamo trattato efficacemente i pazienti con i tradizionali sistemi di ablazione termica e con la crioablazione. Adesso siamo orgogliosi di poter continuare ad offrire ai nostri pazienti le soluzioni tecnologiche più avanzate e le opzioni terapeutiche più efficienti”, conclude il dott. Molon