Alle 23.08, del 5 marzo 1983, un’Alfa Romeo nera si schianta contro un albero all’altezza di Brunswick, nella Bassa Sassonia, su una delle curve impossibili della strada Braunschweig-Querum. Alla guida dell’Alfa c’è Lutz Eigendorf, che morirà due giorni dopo per le gravi ferite alla testa. La polizia determina un incredibile tasso alcolemico di 0.22 e chiude il caso come incidente dovuto alla guida in stato di ebbrezza. Ma c’è chi avanza dei sospetti su quella morte.
TROPPI DUBBI. I documenti degli archivi lasciano ipotizzare che l’incidente sia stato solo inscenato, che si sia in realtà trattato di un omicidio politico orchestrato dalla Stasi. Il pomeriggio della sua morte Eigendorf rimane in panchina nella partita persa dall’Eintracht Braunschweig per 0-2 in casa contro il Bochum. Intorno alle 21.30 entra in un bar, vi rimane per circa un’ora bevendo un paio di birre. Due ore dopo l’incidente fatale. Secondo il giornalista Jochen Döring: «Mielke, ilpresidente della Dynamo, ministro della Sicurezza, è un uomo brutale, deve aver percepito il gesto di Eigendorf che era fuggito dall’Est, come un affronto personale. Non poteva accettare che proprio il capitano della sua squadra fosse passato al nemico. Nella logica di Mielke, doveva essere riportato sulla retta via».
LE PROVE. Un documento manoscritto di trentadue pagine, datato 19 settembre 1983, e proveniente dal Dipartimento XXII del Ministero per la Sicurezza dello Stato, responsabile anche per le pratiche di antiterrorismo, sembrerebbe rafforzare l’ipotesi di Döring. La nota descrive, tra gli altri argomenti, una sostanza chimica che agisce sulle cellule nervose impedendo la visione e può essere usata anche come gas venefico in spazi ristretti. In una delle pagine si accenna anche alla possibilità di organizzare un falso incidente d’auto e compare l’indicazione «abbagliare».
Secondo il giornalista, Eigendorf sarebbe stato rapito e costretto, magari sotto la minaccia di una pistola, a ingerire un gran quantitativo di alcool mescolato con questa sostanza.
IL BECKENBAUER DELL’EST. Lo chiamavano «il Beckenbauer dell’Est» quel ragazzo che, forse con un po’ troppa fretta, scappa in Occidente. A casa, ad aspettarlo, ci sono ancora la moglie Gabriele e la figlia, Sandy, che ancora non sanno che Lutz non ha intenzione di tornare. Era scappato dopo un’amichevole col Kaiserslautern, fuggito dopo una sosta del pullman. Mentre i suoi compagni prendevano un caffè, il Beckenbauer dell’Est sparì tra la folla. Pensava alla libertà, fu quello l’inizio della fine.