14 gennaio 1976. Formato berlinese: sei colonne invece delle tradizionali nove. Venti pagine. Uscita: dal martedì alla domenica. La cultura? Nel paginone centrale, e non nella tradizionale terza pagina. Ecco un’istantanea dell’esordio di uno delle testate più importanti d’Italia. “Scelsi il nome la Repubblica perché volevo dare al giornale un carattere politico e nazionale”, disse il suo fondatore Eugenio Scalfari. Quella della sinistra laica e riformista era l’area politica in cui scelse di collocarsi, differenziandosi da quei quotidiani che si trovavano ancora più a sinistra, a metà degli anni 1970 come l’Unità.
Il 1978, l‘anno del rapimento di Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana, a opera delle Brigate Rosse, è l’anno decisivo per la testata. La Repubblica esprime chiaramente una linea critica nei confronti del PSI di Bettino Craxi, più aperto ad una “trattativa”. L’opposizione al segretario socialista segnerà i successivi dieci anni de La Repubblica. La Repubblica arriva a toccare le 140 000 copie. È solo l’inizio.
Nel 1979, la tiratura media raggiunge 180.000 copie, le pagine diventano 24 e La Repubblica crea una redazione sportiva, chiamando a dirigerla Gianni Brera.
Il numero dei lettori de La Repubblica cresce ancora di più, anche a seguito dello scandalo che travolse il Corriere della Sera, che si scoprì essere di fatto controllato, sia finanziariamente che editorialmente, dalla loggia P2. Fu all’epoca che alcune firme prestigiose, come quella di Enzo Biagi, passarono a La Repubblica.
Dalla sua nascita La Repubblica ha visto 5 giornalisti passarsi il testimone della direzione. Scalfari diresse il giornale per trent’anni. “Ragazzi e donne avevano la possibilità di avere un nuovo rapporto con i giornali. Lo voglio dire: il rapporto fisico con il giornale per me è sempre stato importante. All’inizio sfogliavo Repubblica proprio per gustarne la confezione…”, raccontò 6 anni fa, all’evento che celebrava il 40esimo anniversario del quotidiano. “L’ho concepita, l’ho diretta, per un certo momento ne sono stato anche proprietario insieme a Carlo Caracciolo. Però voglio dire una cosa: metà di Repubblica, della sua importanza e del suo valore, è dovuta a Ezio Mauro”. Ed è a lui che lasciò l’incarico, nel 1996. Di quel momento, Ezio Mauro raccontò: “Se avessi capito in anticipo il peso di Repubblica mi sarei impaurito. Ma ero giovane e un po’ incosciente: questa è la chiave che mi ha permesso di iniziare e di continuare”. Dopo 10 anni di direzione Mauro, fu poi il momento di Mario Calabresi: “Ho voluto fare questo mestiere perché sono curioso. Mi sono innamorato di questo lavoro perché mi piace capire. Comincio a pensare al giornale e all’informazione quando mi sveglio e lo faccio fino alla sera. Sono felice di averlo fatto. E lasciatemelo dire: non mi sarei mai aspettato di diventare direttore di Repubblica”. Dopo Mario Calabresi, Carlo Verdelli ha diretto la Repubblica per poco più di un anno fino a quando GEDI, la società editrice del quotidiano, passa sotto il controllo della holding Exor, di proprietà della famiglia Agnelli. Da allora la direzione è di Maurizio Molinari. “Forse questo si è perso nel giornalismo italiano degli ultimi tempi” ha detto Mario Calabresi. “Chiarezza, pulizia, sinteticità. Questo non è cambiato: le risposte che devi dare”. Soprattutto in un tempo in cui troppo persone finiscono per cercare le risposte da fonti non attendibili.
Stefania Tessari