Un uomo solo al comando, l’Airone, il Campionissimo. Il simbolo per eccellenza del ciclismo
italiano di quegli anni e non solo. Fausto Coppi, nacque in provincia d’Alessandria in un paese che poi prenderà anche il suo nome, a Castellania Coppi. E in quel 7 novembre del 1942, ad inizio carriera ancora ventitreenne, tentò un’impresa più grande di lui. C’era la guerra all’epoca, e forse anche la volontà di allontanare la temuta partenza per il fronte. Maldicenze diranno poi, alcuni.
MILANO HA IL “PASTRANO BUCATO”
Ferita dalle bombe inglesi, che avevano rapito l’ultima speranza di metter fine a una guerra senza senso, la città provava a concedersi un momento di leggerezza: un atleta “magro impicà”, ma baciato dagli dei della velocità, al velodromo Vigorelli stava tentando di scrivere una delle pagine più importanti della storia sportiva del Belpaese.
COME CI ARRIVA
La preparazione del Campionissimo non fu delle migliori: il Vigorelli era inutilizzabile per gli
allenamenti, e Coppi si era preparato sui percorsi di casa, i lunghi rettilinei tra Novi, Tortona e
Serravalle. La bici per il record venne realizzata da Ugo Bianchi, il meccanico della Legnano (la
sua squadra). Sui sette chili e mezzo il peso, tantissimo rispetto a quelle odierne. Due ruote
definite “specialissime”, anche se nel complesso non si differenziava molto dalle bici di quel
periodo.
LA GARA
In pochi sapevano del tentativo, troppo elevato il rischio di farsi notare dagli aerei britannici.
Eppure qualcuno c’è: il fratello Serse e un manipolo di giornalisti. Alle 14:12 Fausto parte. Ha una maglia verde, pantaloncini alla coscia neri, caschetto di pelle imbottita al capo. E’ già pronto da ore in realtà: per tonificare i muscoli, quella mattina si era fatto quasi 100 km, partendo in bici da casa. Inizia veloce, ma l’andatura troppo sostenuta al trentesimo Km lo porta ad avere un leggero ritardo. Alla mezzora Coppi perde terreno. Al settantesimo giro la crisi sembra superata, ma gli ultimi 30 sono una sofferenza. Al 95° giro è in vantaggio di due secondi. Un incredibile sforzo finale porta Fausto a percorrere, allo scoccare dell’ora e dopo 115 anelli, 45,871 chilometri.
Trentuno metri in più rispetto al vecchio record realizzato dall’atleta francese, Archambaud.
GIOIA SOFFERTA
E’ festa, ma dura poco, perché l’allarme aereo spinge tutti nei rifugi. Lo sforzo è stato terribile, e
sceso dalla bicicletta, Coppi dirà: “Non ci proverò mai più”. L’impresa gli valse un buon
riconoscimento, ma non l’immunità dalla guerra dove fu spedito a combattere. Sul fronte
africano, in tempo per il tracollo in Tunisia dell’armata italo-tedesca, e per farsi anche due anni di
prigionia. Qualcosa d’impensabile oggi. Ma erano altri tempi, altri campioni, e una passione infinita per questo sport.