I rifiuti interrati a ridosso del torrente Poscola erano contaminati da Pfas e potevano cedere il loro carico inquinante alla falda. È quanto emerso chiaramente nel corso del controesame dell’ingegnere Vito Ardone condotto dai legali delle società idriche che si sono costituite parte civile nel processo. Gli avvocati Angelo Merlin e Marco Tonellotto che, con il collega Vittore d’Acquarone, assistono Acque del Chiampo, Viacqua, Acquevenete e Acque Veronesi, hanno analizzato in aula la situazione con il consulente della Procura. Ardone ha precisato che questa fonte di potenziale diffusione della contaminazione veniva dilavata dalle acque meteoriche, verosimilmente a far data dagli anni ’70 e che questo meccanismo interessava i PFAS presenti nel terreno, a prescindere dalla concentrazione dell’inquinante. Nella sostanza, qualsiasi tenore di sostanze perfluoro-alchiliche veniva messo in soluzione e finiva nell’acqua di falda. Il consulente tecnico ha poi precisato che oltre agli argini del Poscola erano state indagate altre aree dello stabilimento, nelle quali erano state rinvenute presenze di PFAS, tutte correlabili alla produzione di Miteni, così come lo erano i rifiuti interrati presso il torrente, che avevano le stesse caratteristiche di possibile passaggio in falda.