Una delle competenze più richieste oggi, non solo nel mondo del lavoro, ma in modo trasversale, è la comunicazione. Sembra una skill banale, dopotutto parliamo tutti i giorni con parenti, amici, perfetti sconosciuti per strada, perché quindi dovrebbe essere diverso comunicare con i collaboratori?
In verità, una delle attività più difficili in azienda è proprio comunicare in modo libero e aperto con i colleghi. Ed è anche una delle aree in cui può rivelarsi maggiormente d’aiuto la consulenza di un coach aziendale: parlare ai collaboratori, infatti, non è sufficiente.
Ci sono tantissimi errori, piccoli o grandi, che rischiano di compromettere la qualità della comunicazione in un ambiente ad alta tensione come è quello aziendale. In ufficio, infatti, ogni osservazione rischia di essere presa sul personale, o di essere interpretata come una nota di biasimo.
Ecco perché i coach aziendali esperti come Tiziana Recchia, fondatrice di Cassiopea, da quasi 30 anni affiancano le aziende attivando percorsi personalizzati di sviluppo della comunicazione, per incrementare la propria consapevolezza e la propria efficacia comunicativa. Un coach, infatti, è in grado di personalizzare i propri interventi sulla base delle necessità, si tratti di sviluppare un ascolto attento ed empatico, o la propria capacità di gestire i conflitti. Ancora, un coach aiuta a migliorare il proprio stile comunicativo, per evitare gli errori “tecnici” della comunicazione, compresa quella non verbale e paraverbale. Solo la consapevolezza, infatti, evita i malintesi, e ci assicura di essere davvero efficaci.
Del vero significato dell’ascolto abbiamo già parlato: l’ascolto dovrebbe aprirci verso l’altro, dandoci una concreta possibilità di modificare i nostri comportamenti e le nostre credenze. Non prestare realmente ascolto, quindi, significa non capire le reali motivazioni dei problemi, lasciandosi coinvolgere solo dal proprio pensiero. Che non sempre potrebbe essere corretto, e corre il rischio di essere offuscato dai nostri giudizi, dando luogo ad uno scambio non guidato dall’effettivo desiderio di miglioramento, quanto invece dal desiderio di chiudere il prima possibile la questione. Soprattutto se davanti ad un dubbio o ad un’incertezza su come interpretare le parole dell’altro, ci chiudiamo sulla nostra interpretazione senza fare domande. I riscontri sono sempre importanti, tanto più fondamentali in situazioni di incertezza o tensione come la comunicazione lavorativa.
Un atteggiamento giudicante, che si limiti soltanto a sollevare obiezioni e consigli a problemi “standard”, non correttamente contestualizzati sulla difficoltà dei collaboratori, non è soltanto inutile. Non tiene nemmeno conto delle emozioni dell’interlocutore, delle sue difficoltà soggettive. Un collaboratore che si sente già in colpa per un errore, o ha paura di ripercussioni, e che venga malamente ripreso con consigli poco utili non solo sentirà aggravarsi il senso di frustrazione, ma comincerà anche a sentirsi meno motivato e meno partecipe al senso più ampio della propria azienda.
Senza dimenticare che l’apertura e l’ascolto attivo dei collaboratori non vengono comunicati solo a parole. Esiste una galassia di altre forme di linguaggio non verbale e paraverbale che rafforzano la comunicazione, o in alcuni casi rischiano di minarla, se i segnali sono in contrasto con quanto apertamente dichiarato. I segnali non verbali e paraverbali, quindi, se non si è in grado di controllare le proprie emozioni e dimostrarsi aperti e disponibili, rischiano di diventare uno di quegli elementi “tecnici” facilmente fraintendibili, quasi quanto gli stili corretti da applicare o i modi e i tempi migliori per comunicare.
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Tiziana Recchia
Fondatrice, titolare e amministratrice di Cassiopea. Da quasi 30 anni è business e life coach, si occupa di formazione e supporta le aziende nei momenti di cambiamento. Collabora con la redazione de “La Cronaca” per portare il suo punto di vista esperto nel mondo del business.