Quando se ne va un Commissario, non è più la stessa cosa. Quando se ne va un uomo come Andrea Rasi, ti chiedi perché possa accadere, come sia accaduto. Lo avevi visto qualche settimana prima, al lavoro. “Ha lavorato finchè ha potuto, non s’è mai tirato indietro” dice adesso un collega. Uno dei tanti che Andrea aveva guidato, indicandogli una strada e il modo migliore per percorrerla.
Andrea Rasi se n’è andato così, regalando l’ultimo sorriso, alla sua gente, ai suoi uomini, alla sua famiglia. Ha lottato, non s’è mai arreso, come faceva sul campo con la maglia della Polizia. Difensore arcigno, grintoso, uno di quelli che non mollava mai eppure non riuscivi a sentirlo “nemico”. “In campo va così, poi, finita la partita, la storia è diversa” diceva. Anche sul lavoro era così. Duro, con se stesso, prima ancora che con gli altri. Chiedeva molto a se stesso, “…ma ti veniva spontaneo seguirlo”, dicono i suoi uomini. “Perché ti spronava col sorriso, sempre”.
E’ stato così fino all’ultimo giorno. Fino a quando la malattia gli ha lasciato uno spiraglio, ha continuato a lavorare. Con la divisa, di cui andava giustamente fiero. E in divisa, un po’ smagrito nella foto, aveva ricevuto a metà dicembre la targa delle famiglie delle vittime dell’Antonov, che aveva sempre seguito, al di là degli aspetti professionali. “Per quello che ci ha dato” gli avevano detto quel giorno. Un mese fa, poco più. Di quella foto, resta il significato. Resta quel sorriso, neppure sfiorato dall’ombra del male. Era il sorriso del Commissario, uno che amava la Divisa, il mestiere, la sua città, l’Italia e lo faceva in silenzio, come fanno i tanti eroi silenziosi della vita di ogni giorno. Davanti a lui, oggi, una città intera è sull’attenti.
Ciao, Commissario.