C’è quel retrogusto d’amaro, in questo strano giorno di luglio. Ha il sapore delle cose finite, senza apparenti perchè.
C’è nell’aria il sapore aspro delle belle storie che un giorno finiscono quando le avevi pensate “per sempre”. E ti affretti a cercarne le ragioni, dentro stagioni che sembravano felici e che (invece) qualche segnale lo avevano pur dato.
In realtà, va detto, il Chievo aveva cessato da tempo di essere “quel“ Chievo. Quello della favola, dei “mussi volanti”, del quartiere in paradiso eccetera eccetera.
E qui, anche questo va detto, è troppo facile, persino banale, pensare che sia stato l’addio a Sartori ad avviare il declino. Forse quello è stato il primo segnale, certo. L’ultimo, l’addio a Pellissier. In mezzo, anni di illusioni Il Chievo-Titanic stava affondando ma intanto la musica continuava a suonare. Quando ha smesso, era già troppo tardi.