“Ciò, xè ancora drio scurlar”. Fabio Enzo e quella traversa Il ricordo dell’attaccante veneziano, all’Hellas stagione ‘71-’72

Raffaele Tomelleri

Aveva rifiutato la Juve, Fabio Enzo. Lo raccontava con orgoglio, un Gigi Riva nostrano. “Me gà ciamà l’Avvocato in persona”, sorrideva. La sua storia aveva rischiato di intrecciarsi con quella di Rombo di Tuono. “Stiamo prendendo Riva” gli disse Agnelli. “Prendiamo lei e lo giriamo al Cagliari, per giocare al posto di Riva”. Fabio Enzo da Cavallino, Venezia, rispose (forse in dialetto, forse no), che lui al Cagliari non sarebbe andato. “Se vegno, ciò, mi resto ala Juve”. Non se ne fece niente, poi Riva rimase al Cagliari e a Enzo rimase comunque quella “medaglia al valore”.
Era un po’ matto, Fabio Enzo. Un matto simpatico, buono come il pane, uno di quelli ai quali non puoi non voler bene. Capace, quand’era la giornata giusta, “di calciare un rigore di tacco”. Ma va’, questa non l’hai fatta… E allora, ti raccontava che “in un Cesena-Casertana, Coppa Italia, capita un rigore. Il Cesena vince 3-0, e mi gavèa ‘na scommessa con Ciapina Ferrario. El me ga dito, “gnanca bon”…”.
Enzo va sul dischetto, l’arbitro fischia, lui si gira e…”calcio di tacco. Portiere immobile, palla sul palo”. Il presidente gli dà la multa, “…ma gèra de più i schei della scommessa”.
Era passato anche da Verona, Fabio Enzo. Una sola stagione, neanche fortunata, ma se senti i suoi compagni, tutti te ne parlano bene. Aveva debuttato con la Fiorentina e aveva incendiato il Bentegodi. Prima una punizione da 30 metri, un sinistro dei suoi, traversa piena. “Xè ancora là che la scurla”, diceva sempre. Poi un rigore sul palo, “…anche ‘n po’ de sfiga” scuoteva il testone.
Zero gol, ma quel Verona s’era salvato ed era come un altro scudetto.
Era un bomber vero, Fabio Enzo. Un gigante, fisicone della madonna, un sinistro bomba, altrimenti l’Avvocato non l’avrebbe mai chiamato. Lo avevano chiamato “il nuovo Chinaglia”, perchè aveva debuttato nella Roma e l’aveva fatto, a 20 anni, con un gol nel derby, mica una partitella. E ti raccontava come a Roma lo amassero ancora e sempre, per quel gol alla Lazio. Ma aveva segnato anche a Novara, Cesena, Foggia, Mantova, Reggio Calabria, Biella, dovunque era stato. Poteva essere un campione, ma non se n’è mai fatto un cruccio.
L’aveva fregato, forse, quel carattere lì, focoso, quel non sopportare le ingiustizie, o i fischi sbagliati. E quando s’arrabbiava, il gigante mulinava le braccia e all’arbitro non pareva vero. “Ciò, 64 giornade de squalifica, i me gà dato”. .
L’ha fregato il Covid, il “gigante buono” di Cavallino. Questo avversario maledetto che ti entra alle spalle e, se può, ti fa male. Ha lottato, caspita se ha lottato, Fabio Enzo. Ce l’ha messa tutta, uno di quelli che non s’è mai tirato indietro, in campo e nella vita. “No gò ciapà i mliardi” diceva. Avesse giocato oggi, li avrebbe presi e invece s’è dovuto arrangiare come tanti, sempre con grande dignità. Ha fatto di tutto, il cuoco, l’aiuto-cuoco, l’imbianchino, il falegname, il pescatore, il contadino.
“Vien a trovarme, el pesse come da mi, non lo fa nessuno”, ti diceva. Un generoso, gli volevano bene tutti.
E tutti, i suoi ex compagni, gli amici, hanno pregato per lui. Venti giorni fa, stava meglio, “el ghè le fa”, avevano detto.
Poi la ricaduta. Fatale. Aveva 74 anni. Amava le cose semplici, fatte in casa. Amava la vita, che per lui era Cavallino, Venezia e poco altro. Gli bastava. Amava i ricordi. Per questo ne ha lasciati un’infinità.